Non si arrende Gaia, non lo fa da 7 anni, da quando, cioè, un problema oncologico ha portato lei e il marito a intraprendere un percorso di fecondazione assistita. Poi è arrivata l’asportazione dell’utero, che l’ha costretta a rinunciare ad avere un figlio che invece desiderava per coronare il suo sogno di famiglia. Un figlio che sente ancora di avere, Gaia, perché – ci racconta – «Quella non è una provetta, è un figlio che ha diritto di nascere. Quello che mi manca è l’utero. Il mio appello e quello di mio marito è che qualcuna dal cuore grande possa aiutarci, che possa con il proprio grembo portare avanti una gravidanza per me, affinché il nostro embrione possa crescere e possa vedere la luce. Attenderei solo un gesto di generosità e altruismo per poterlo far nascere», dice con voce gentile.
Gravidanza solidale: che cos’è
Si tratterebbe di una gravidanza solidale, ossia la possibilità di affidarsi a un’altra donna, senza doverla pagare. Senza la commercializzazione e lo sfruttamento che invece spesso di nascondono dietro ad altre storie di gestazione per altri. In questo caso, infatti, Gaia non ricorrerebbe a una fecondazione eterologa, ma potrebbe utilizzare quell’embrione che ha congelato nel 2016, prima della malattia. La sua battaglia ora ha un sostegno in più, grazie a una proposta di legge appena depositata in Parlamento dall’Associazione Luca Coscioni e pensata anche per le donne come Gaia.
Gravidanza solidale: la storia di Gaia
Gaia ha 38 anni. In realtà il suo è un nome di fantasia, ispirato dalla gioia che questa donna trasmette quando parla del suo sogno di famiglia. Un sogno che ha temuto che fosse infranto quando, «nel 2016 a causa di un problema oncologico di mio marito che ci avrebbe precluso la possibilità di diventare genitori, abbiamo capito che l’unica possibilità era la fecondazione assistita. Abbiamo prodotto 3 embrioni, 2 dei quali oggi sono le nostre 2 bellissime bimbe, nate nel 2017 e nel 2020. Il terzo embrione, invece, è crioconservato e ci aspetta. Ma non possiamo andare a prenderlo», ci racconta Gaia. «Non possiamo andarci perché quando ho partorito la nostra seconda bimba sono arrivata in fin di vita per emorragie plurime e mi è stato rimosso l’utero. Insomma ci sentiamo genitori di tre figli, ma il terzo aspetta ancora di avere la possibilità di nascere. Perciò continuiamo a sperare che una donna dal cuore grande possa aiutarci», dice Gaia con la forza di una madre, che lotta per il proprio piccolo.
Quel figlio “in sospeso”
La strada è quella della gravidanza solidale, ma finora non è stata trovata nessuna donna disposta a “donarsi”. «Andava trovata una persona che si offrisse, ma finora non è stato possibile. Noi non smettiamo di sperare, perché solo in questo caso potremmo andare in Tribunale e ottenere l’autorizzazione per procedere. L’alternativa, infatti, sarebbe di rivolgersi all’estero, ma si tratterebbe di andare lontano, culturalmente e geograficamente, affrontando spese insostenibili dell’ordine di 80/100mila euro. Quello che chiediamo, invece, è una donazione, come quando si dona un rene: una donna, possibilmente già mamma, che lo farebbe per il bene degli altri e in questo caso di mio figlio che è ancora “sospeso”, che io non sento come una provetta, ma come un bambino che attende di nascere e crescere con le sue sorelline», spiega Gaia.
Nessuna commercializzazione: «La Meloni mi capirebbe»
«Non ci sarebbe alcun pagamento, sfruttamento o commercializzazione – prosegue Gaia – Io provengo da una famiglia cattolica, ma anche mio padre che è molto tradizionalista mi appoggia in questa battaglia e sono sicura che persino la premier Giorgia Meloni sarebbe d’accordo: non è egoismo, abbiamo iniziato la fecondazione assistita per il problema oncologico di mio marito, a cui si è aggiunta la mia rimozione dell’utero. Vorremmo solo che potesse nascere il fratellino delle nostre bimbe, che sentiamo come un bambino che è un essere umano in sospeso».
L’altro appello di Maria Sole, senza utero
Ma Gaia non è sola. Di casi analoghi al suo ce ne sono altri. Come quello di Maria Sole, che di figli però non ne ha neppure uno perché è nata senza utero a causa di una rara malattia: «Sulla gestazione per altri sono state raccontate fandonie ed è stata fatta solo propaganda perché non si è detto che le donne che ricorrono spesso non hanno più l’utero, hanno avuto dei cancri, hanno avuto gravidanze terribili che ha portato a menomazione che rendono impossibile la gravidanza. Queste donne il governo vuole trattarle come criminali. Poi c’è un 20% di persone dello stesso sesso e non hanno alternative a questo tipo di genitorialità. Anche loro sono perseguitati da questo governo. Io feci un appello pubblico per chiedere a una donna di farmi diventare madre: la prima a rispondere fu mia madre, ma non c’era un quadro clinico che le avrebbe permesso di portare avanti la gravidanza per me».
Emma Marrone e l’idea dell’aiuto da un’altra donna
Anche Emma Marrone non esclude l’idea di una gravidanza, grazie all’aiuto di un’altra donna, dopo un cancro all’utero e due recidive: «La prima volta l’ho presa come un fatto che poteva capitare – ha raccontato a Vanity Fair – con le altre è stato più complicato, l’ho curato ma poi ho detto: basta, leviamo l’ovaio». Quanto alla gestazione per altri, la cantante salentina spiega: «Non ho resistenze ideologiche, ma la scelta ce l’ho: se volessi potrei ancora farlo da me con la fecondazione. In Italia però devi essere per forza una coppia ed è una visione della genitorialità medievale». Anche a una situazione come la sua pensa l’Associazione Luca Coscioni, la cui segretaria contrappone la gestazione solidale all’imminente approvazione del reato universale per la maternità surrogata.
Dalle mamme di Padova a una possibile sanatoria
Il 19 giugno, infatti, è iniziato l’iter di approvazione per l’introduzione del reato universale «per chi, abusando di una condizione di necessità, induce una donna a portare avanti una gravidanza per altri». Nel frattempo è scoppiato il “caso delle mamme di Padova”, con la Procura che ha impugnato gli atti di nascita relativi a 33 bambini nati all’estero con la gestazione per altri (Gpa), ritenendoli illegittimi. Ma non solo. La Corte europea dei diritti umani ha bocciato e dichiarato inammissibili una serie di ricorsi contro l’Italia portati avanti da coppie dello stesso sesso e da una coppia eterosessuale, che chiedevano di condannare il Paese proprio per l’impedimento alla trascrizione all’anagrafe comunale degli atti di nascita per figli delle coppie che negli anni hanno fatto ricorso alla maternità surrogata. Il ministro della Famiglia, Eugenia Roccella, ha quindi ipotizzato una sanatoria per tutte queste situazioni pregresse, ma nel frattempo come risolvere la questione?
La gravidanza solidale: come avverrebbe
La soluzione potrebbe passare dalla gravidanza per altri solidale, come sostiene l’Associazione Luca Coscioni: «Il testo interviene in senso opposto alla proposta di legge Varchi sulla Gpa come reato universale, ovvero perseguibile anche se commesso all’estero, in contrasto con qualsiasi principio di diritto penale e internazionale e come tale giuridicamente inapplicabile», premette la segretaria, Filomena Gallo. Si tratta di una risposta a chi vuole condannare lo sfruttamento e la commercializzazione che accompagnano molti casi di gravidanza per altri, pur permettendo a molte coppie di poter avere figli tramite una gestazione per altri che sia realmente solidale.
Un accordo lecito e solidale
«Nel nostro testo si introduce un reato molto severo, che scatta quando una donna è costretta a portare avanti una gravidanza per altri, per bisogno o costrizione, ossia l’induzione in schiavitù, con una pena che prevede la reclusione da 8 a 20 anni – spiega Gallo – In questo senso siamo tutti dalla stessa parte: nessuno deve essere costretto a fare qualcosa che non vuole, che non sceglie liberamente». Nello specifico si prevede «un accordo lecito e solidale con la gestante che può prestarsi al massimo una volta, due se per la stessa famiglia. Ma prima deve seguite un iter diagnostico medico e psicologico per poi confermare la sua disponibilità. Deve già aver conosciuto l’esperienza della maternità, avere meno di 42 anni e deve poter contare su un reddito certo. Infine, può anche essere una parente, ad esempio una sorella. Lei può offrirsi, senza ricevere alcun compenso se non il rimborso di spese mediche, anche per coppie dello stesso sesso o single a cui è garantito l’accesso a tutte le tecniche di fecondazione assistita». L’Associazione Coscioni prevede anche l’istituzione di un Registro nazionale delle gestanti presso il Registro nazionale sulla Pma, la procreazione medicalmente assistita, che esiste già all’Istituto Superiore di Sanità previsto dalla legge 40/04.
Il Registro nazionale delle gestanti
«In questo modo si supererebbe il limite all’accesso alle tecniche di gestazione medicalmente assistita, dando questa opportunità a tutti coloro che ne hanno bisogno, per esempio le donne che hanno avuto problemi di salute. In questo caso, infatti, potrebbero impiegare i loro gameti e, se necessario, anche ricorrere alla fecondazione eterologa. Ma anche coppie di donne che oggi sono costrette ad andare all’estero o a single. L’accordo tra le parti, inoltre, permetterebbe alla gestante di far parte della vita del nascituro anche dopo la nascita», conclude Filomena Gallo.