«Un dito medio alzato contro il calcio femminile». Così, in una lettera aperta indirizzata alla Fifa, 106 calciatrici professioniste di 24 Paesi definiscono l’accordo sancito tra il massimo organo del calcio mondiale e Aramco, colosso energetico di proprietà saudita.

La mobilitazione del calcio femminile

In modo diretto e inequivocabile, il mondo del calcio femminile si mobilita invitando il presidente della Fifa, Gianni Infantino, a rompere la partnership. Il gigante del petrolio rappresenta una minaccia per l’ambiente globale – sostengono le firmatarie – ed è in mano a un Paese che non rispetta i diritti delle donne e criminalizza la comunità Lgbtq+. Non può dunque essere partner della Fifa e sponsorizzare eventi come i Mondiali 2026 e i Mondiali femminili del 2027.

Stop agli accordi con i sauditi

L’affondo arriva all’indomani dell’esibizione delle star del tennis maschile svoltasi a Riad e dotata di un montepremi monstre, altro esempio dell’azione del cosiddetto sportwashing delle «autorità saudite che – scrivono nella lettera le 106 atlete – spendono miliardi in patrocini sportivi per tentare di sviare l’attenzione dalla brutale reputazione del regime in materia di diritti umani ma il trattamento delle donne parla da solo».

«L’Arabia fa profitti, Fifa sua cheerleader»

Tra la firmatarie della lettera aperta ci sono la capitana della nazionale azzurra, Elena Linari, della Roma, altre italiane come Katja Schroffenegger (Como), Francesca Durante e Rachele Baldi (Inter), Norma Cinotti (Samp) e Tecla Pettenuzzo (Napoli), oltre a straniere che giocano in Italia come la danese Junge Pedersen (Inter) – una delle promotrici -, l’austriaca Georgieva (Fiorentina) la croata Bacic, la danese Lundorf Skovsen (Napoli) e la tedesca Krumbiegel (Juventus). Anche loro chiedono come ci si possa aspettare che le giocatrici Lgbtq+, «molte delle quali sono stelle del nostro sport, promuovano l’Arabia e l’Aramco, che con la sua attività favorisce il cambiamento climatico e le inondazioni, il caldo estremo e gli incendi che stanno bruciando il futuro del calcio e mentre tutti ne paghiamo le conseguenze, Riad fa profitti, con la Fifa come sua cheerleader».

Sofie Junge Pedersen con la maglia dell'Inter

«Accordi presi da uomini privilegiati»

Nella lunga lettera, si sottolinea tra l’altro che accordi come quello con Aramco sono stati presi «da uomini abbastanza privilegiati da non essere minacciati dal trattamento riservato dalle autorità saudite alle donne, a coloro che sono Lgbtq+, migranti, minoranze o minacciati dal cambiamento climatico». In chiusura si definisce «la sponsorizzazione molto peggio di un autogol per il calcio, tanto vale che la Fifa versi petrolio sul campo e gli dia fuoco. Meritiamo molto di meglio dal nostro organo di governo rispetto alla sua alleanza con questo sponsor da incubo».

Pedersen: «No allo sportwashing»

Una delle promotrici della lettera è la danese dell’Inter Sofie Junge Pedersen. Trentadue anni, di Aahrus, centrocampista con 88 presenze nella nazionale danese, si è ritrovata un giorno, come racconta all’ANSA, «con due colleghe, l’olandese Tessel Middag e la neozelandese Katie Rood: ne abbiamo parlato, abbiamo iniziato a contattare altre ragazze che conoscevamo. E tutto è cresciuto».

Il senso della lettera, sostenuta da Athletes of world, associazione no profit di sportive professioniste per la difesa del pianeta, è quello di non contribuire allo sportwashing arabo, il tentativo tramite lo sport «di distrarre dal trattamento dannoso riservato alle donne e al pianeta», spiega Pedersen. «Vogliamo – prosegue – che il popolo saudita, comprese le ragazze e le donne, possa accedere allo sport. Ma non parteciperemo alla copertura delle violazioni dei diritti umani. Le donne dell’Arabia Saudita dovrebbero poter praticare sport e avere le stesse libertà degli uomini. L’Arabia Saudita viola i diritti umani e Aramco è uno dei maggiori inquinatori del pianeta, un danno per il futuro di tutti noi».