Il rischio di povertà in Italia aumenta per chi lavora, anche nel caso di impiego a tempo pieno. Lo dicono le ultime tabelle pubblicate da Eurostat secondo le quali gli occupati con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale, al netto dei trasferimenti sociali, sono passati dal 9,9% al 10,2% nel complesso mentre la percentuale è cresciuta dall’8,7% al 9% per quelli impegnati a tempo pieno.

L’aumento dell’occupazione registrato negli ultimi anni ha ridotto il rischio complessivo di povertà della popolazione, ma per le singole persone al lavoro le difficoltà economiche sono cresciute, soprattutto a causa della perdita di potere d’acquisto a fronte dell’aumento dei prezzi spesso non recuperato con il rinnovo dei contratti.

In Italia 5 milioni hanno difficoltà su spese minime

Diminuisce invece – ma riguarda ancora cinque milioni di persone – la deprivazione materiale, ovvero l’incapacità di permettersi una serie di beni, servizi o attività sociali specifici che sono considerati dalla maggior parte delle persone essenziali per una qualità di vita adeguata. È in questa condizione l’8,5% della popolazione in calo dal 9,8% del 2023 e al livello più basso da 2015, inizio delle serie storiche.

In pratica nel nostro Paese ci sono circa cinque milioni di persone che non riescono ad affrontare cinque delle 13 spese contenute in questo indicatore quali avere una casa adeguatamente riscaldata, poter fare almeno una settimana di vacanza, far fronte a spese improvvise, poter fare un pasto con proteine almeno ogni due giorni, avere una connessione internet, avere almeno due paia di scarpe… È un dato fortemente legato al reddito ma anche all’andamento dei prezzi.

Rischio di povertà: cala per minori, sale per anziani

Il rischio di povertà in Italia nel 2024, ovvero la percentuale di chi deve far conto con un reddito disponibile dopo i trasferimenti sociali inferiore al 60% di quello mediano nazionale (12.363 euro la soglia per il 2024), si legge nelle tabelle Eurostat, diminuisce tra i minori e aumenta tra gli over 65.

Nel complesso le persone in una situazione di indigenza in Italia sono 11 milioni 92mila, 29mila in meno rispetto al 2023 e al livello più basso dopo il 2009. Per i più giovani la percentuale resta più alta di quella degli anziani ma se per gli under 18 la quota delle persone a rischio di povertà cala dal 24,7% al 23,2% per gli over 65 aumenta dal 16,9% al 17,6%.

Cassa supermercato

Povertà lavorativa: conta il livello di istruzione

La percentuale di chi è povero pur lavorando con più di 18 anni aumenta per chi ha un contratto a tempo pieno ma diminuisce per chi ha un contratto part time passando dal 16,9% al 15,7% delle persone con questo tipo di rapporto di lavoro.

La povertà lavorativa sale in Italia soprattutto per gli indipendenti con il 17,2% che ha redditi inferiori al 60% di quello mediano nazionale (era il 15,8% nel 2023) mentre per i dipendenti la quota sale dall’8,3% all’8,4%.

Se risulta povero in Italia il 18,2% degli occupati con appena la scuola dell’obbligo (dal 17,7% del 2023) risulta con un reddito inferiore al 60% di quello mediano nazionale il 4,5% degli occupati che hanno la laurea (era il 3,6% nel 2023).

Cresce divario, il 10% più povero ha il 2,5% redditi

C’è un altro indicatore, poi, che peggiora. Ed è il gap tra ricchi e poveri. Nel 2024 è tornato ad allargarsi il divario tra chi è in una situazione di indigenza e chi è più benestante dopo una riduzione delle distanze nel 2023: il primo decile delle persone sulla base dei redditi può contare su una quota del reddito nazionale equivalente del 2,5%, in calo rispetto al 2,7% del 2023 (era del 2,5% anche nel 2022). L’ultimo decile, quello più «ricco» può invece contare su una quota del reddito nazionale equivalente del 24,8%, in aumento sul 24,1% del 2023.