Da pochi giorni in Portogallo è entrata in vigore una nuova legge sui diritti delle gestanti in fatto di maternità e parto che definisce per la prima volta il concetto di «violenza ostetrica». Contrari i medici: oltre a non essere supportata da pareri tecnico-scientifici, la normativa rischia di penalizzare «atti che sono decisioni istantanee e necessarie».
Che cos’è la violenza ostetrica
Il testo, elaborato a partire da una proposta del Blocco di sinistra, definisce violenza ostetrica «l’azione fisica e verbale esercitata dagli operatori sanitari sul corpo e sulle procedure dell’apparato riproduttivo delle donne o di altre persone in stato di gravidanza, che si esprime in un trattamento disumanizzato e un abuso».
La nuova normativa, che deve ancora essere completata dai necessari decreti attuativi, punta a limitare la pratica considerata più emblematica della violenza ostetrica: l’episiotomia (o perineotomia), cioè l’incisione chirurgica del perineo fatta allo scopo di allargare l’orifizio vaginale. Secondo il legislatore si tratterebbe di una pratica oramai divenuta di routine senza che vi sia alcuna indicazione clinica in tal senso. La legge crea dunque una Commissione di vigilanza multidisciplinare alla quale sarà possibile fare ricorso.

Levata di scudi da parte dei medici
Protestano i medici secondo i quali l’introduzione del testo, che il Portogallo applica come primo Paese in Europa, rappresenterebbe una grave intrusione che mina il rapporto del medico con il paziente ed è privo di basi scientifiche. In una lettera firmata da un gruppo di medici responsabili di due dei più grandi reparti di ostetricia, nel nord del Portogallo, si sottolinea che il concetto di violenza ostetrica, «oltre a mancare di una solida base scientifica, favorisce un ambiente di sfiducia, promuove il contenzioso tra utenti e professionisti della salute e mette a rischio la relazione terapeutica che dovrebbe essere basata sul rispetto e sulla fiducia reciproci».
Del medesimo avviso anche il dottor Carlos Cortes, presidente dell’Ordine nazionale dei medici, per il quale la legge «potrebbe aprire la strada alla penalizzazione di atti medici che sono decisioni istantanee e necessarie, ma che potrebbero essere interpretate come violenza ostetrica».
Violenza ostetrica: i dati in Italia
L’Università di Urbino «Carlo Bo» ha recentemente svolto un’indagine per analizzare la diffusione di questo abuso in Italia, rivelando dati allarmanti.
Su un campione di oltre 1300 donne che avevano partorito nei 12 mesi precedenti, il 76,2% ha dichiarato di aver subito almeno una forma di violenza durante il parto. Tra quelle più diffuse gli interventi non consensuali, come episiotomie o palpazioni vaginali senza autorizzazione; pressioni sul fondo uterino; negazione dell’anestesia per interventi dolorosi; comportamenti sessisti da parte del personale sanitario.
Un altro dato riguarda il post-parto, con il 44% delle neomamme che ha riferito di aver subito pressioni per allattare al seno, a testimonianza di come altre forme di violenza ostetrica possano estendersi alle fasi successive al parto, influenzando il benessere psicologico delle madri.