Incesto a Palermo su due sorelline
La più piccola oggi ha 13 anni, l’età che aveva la sorella più grande quando nonno, zio, padre e madre hanno abusato di loro. Vuol dire che lei ne aveva sei. Le violenze sono avvenute tra il 2011 e il 2023 a Monreale, alle porte di Palermo. Ora la ragazzina ha raccontato gli abusi in famiglia a scuola alle insegnanti, tra cui una di sostegno. «Mio zio ha qualche problema con me. E anche mio nonno. Succedono troppe cose brutte in famiglia».
Questo il suo racconto. Il gip di Palermo ha disposto la custodia cautelare incarcera per nonno, zio, padre e madre delle due ragazzine. Le accuse sono di violenza sessuale, violenza sessuale di gruppo e lesioni personali con l’aggravante di aver commesso il fatto in danno di discendenti, con abuso di autorità e nei confronti di minori di 10 anni. Incesto, insomma.
Il racconto dell’incesto
Come riferisce l’agenzia Agi, e secondo quanto emerso dalle indagini, la più piccola delle vittime avrebbe rivelato al padre gli abusi. «Papà si arrabbiò moltissimo. Ma poi è successo di nuovo» ha riferito. Alla maestra di sostegno la più piccola delle vittime ha dunque raccontato che le violenze avvenivano in casa, quando non c’era nessuno. Fatti confermati anche dalla sorella più grande. «Tutta la famiglia sa di questa cosa – la piccola ha raccontato – poi tra mia nonno e mia mamma c’è stata una discussione e la mamma ha detto al nonno che se lo avesse fatto qualche altra volta lo avrebbe denunciato. Il nonno non l’ho più visto dal mio compleanno. Quel giorno ho festeggiato il mio compleanno con torta, palloncini e i regali. C’era tutta la mia famiglia e i nonni, anche questo nonno». Gli abusi sarebbero stati compiuti dallo zio, dal nonno e anche dallo stesso padre mentre a quanto sembra la madre delle due sorelle sapeva ma non ha mai fatto nulla: «A nove anni – il racconto prosegue – temendo che fossi rimasta incinta, la mamma spaventatissima per questa cosa mi ha dato la pillola (anticoncezionale, ndr) ma non potevo essere incinta perché ero piccola» ha raccontato una delle due vittime.
Palermo vale come altre città
Un contesto sicuramente di degrado, una periferia negli ultimi giorni al centro delle cronache, ma che potrebbe essere quella di qualsiasi città, come osserva il professor Ernesto Caffo, presidente di Telefono azzurro: «La cronaca si concentra su questo dramma ed è solo un caso che accada a Palermo. Ma, soprattutto, è solo uno dei tanti, la punta di un iceberg. Questi sono drammi invisibili ai più, ma che noi invece osserviamo da 36 anni. Il fatto è che gli abusi in famiglia sui bambini sono dolorosi da vedere e raccontare, per questo tendiamo a rimuoverli e – quando vengono segnalati in modo così eclatante – diamo una risposta di tipo emergenziale, come vediamo anche nel caso di Caivano».
Il documentario di Emmanuelle Beart, vittima di incesto
Che gli abusi in famiglia siano trasversali a tutte le culture, lo dimostra il caso dell’attrice Emmanuelle Beart, che racconta in un documentario in uscita in questi giorni di essere stata vittima di incesto da bambina. E che, a salvarla, è stata la nonna. Nella pellicola, intitolata “Such a Resounding Silence” (“Un silenzio così assordante”), la Beart non nomina il suo presunto molestatore, anche se precisa che non è stato il padre, Guy Beart, celebre cantante morto nel 2015.
I dati sugli incesti
A fronte di una nonna salvatrice, quante mamme complici ci sono? I dati di Telefono azzurro dimostrano che nella maggior parte dei casi, il 54%, i responsabili degli abusi sessuali – soprattutto dei bambini fino a 11 anni – sono persone che fanno parte del nucleo familiare. Rispetto al 2014, sono aumentate le segnalazioni che riguardano il nuovo coniuge della madre o del padre. Nel 20% dei casi sono coinvolti bambini tra gli 0 e i 10 anni, nel 43% preadolescenti tra gli 11 e i 14 anni e nel 37% adolescenti tra i 15 e i 18 anni.
I possibili fattori di rischio
Se, come la violenza, l’incesto permea tutti gli strati sociali, esistono comunque dei fattori di rischio: «L’isolamento delle famiglie, l’assenza di una vita sociale normale, il poco rispetto per gli altri o le difficoltà personali degli adulti che non hanno una capacità affettiva adeguata» spiega il professor Caffo. «I famigliari spesso sanno cosa succede, o almeno lo sospettano, ma cercano di ignorare realtà così difficili. Alle volte le madri non denunciano i mariti, perché hanno un ruolo molto importante per il sostentamento della famiglia. Altre volte non ci si vuole porre il problema. E anche fare indagini di questo tipo è difficile: spesso non ci sono segni sul corpo del bambino, e il piccolo non parla e quando lo fa, usa il suo linguaggio».
Oggi, per fortuna, i bambini sono più capaci di parlare che in passato, come rileva il professor Caffo. «I minori oggi parlano di più grazie anche ai social, ma parlano nella loro comunità, magari al loro influencer, senza riuscire a confrontarsi con noi adulti. Siamo noi che dobbiamo intercettare i loro messaggi e metterci in ascolto. Anche noi constatiamo un aumento delle richieste di aiuto ma manca poi la rete adeguata di supporto, che accolga la loro domanda e dia sostegno».
Parliamo di agenzie educative, operatori e figure che stiano accanto ai bambini e siano capaci di ascoltarli, intervenendo. E questa risposta deve essere complessa: «È la famiglia che richiede interventi strutturati: la crisi economica, la pandemia, il digitale che separa le generazioni, fanno sì che le famiglie siano sempre più fragili. E le risposte , dall’altra parte, sono sempre più carenti: occorrono servizi di qualità, formazione e comunità forti che possano bilanciare le carenze dello Stato».
Cosa dice la legge sull’incesto: ciò che conta è il pubblico scandalo
E poi c’è la legge. Qual è la risposta del legislatore? Così com’è, rispecchia una grave carenza culturale del nostro ordinamento, come rileva l’avvocata Claudia Rabellino Becce: «La nostra cultura si traduce nelle leggi: i pregiudizi nascono nella cultura e si cristallizzano nelle leggi. Finché le leggi non cambiano, vuol dire che la società non è cambiata. L’abuso in famiglia è regolato dall’articolo art. 564 del Codice Penale che punisce con la reclusione da uno a cinque anni “Chiunque, in modo che ne derivi pubblico scandalo, commette incesto con un discendente o un ascendente, o con un affine in linea retta, ovvero con una sorella o un fratello”. È evidente che a essere tutelato non è il benessere del bambino, ma la tranquillità della famiglia. Il “pubblico scandalo” è quindi al centro della norma. Un paradosso enorme, lo stesso che costringe le vittime di violenza sessuale a dover dimostrare che ci sia stata minaccia o costrizione, quando l’unico aspetto da considerare dovrebbe essere la presenza o meno del consenso».