Sereni e strafottenti, concentrati sui loro follower. Così viene descritto il gruppo di YouTuber sul luogo dell’incidente causato dalla Lamborghini a Roma, nel quartiere Casal Palocco, dove è morto il piccolo Manuel.
TheBorderline: YouTuber demenziali da 600mila follower
Il bimbo viaggiava a bordo della piccola auto della mamma, Elena, travolta dai quattro che filmavano una challenge per il canale YouTube The Borderline, il loro gioiellino che l’anno scorso ha fatturato 200mila euro: lì 600mila iscritti si godono sfide demenziali, tra zattere e vasche con il ghiaccio, da seguire in diretta e ovviamente sostenere con commenti e like.
A caccia di follower anche subito dopo l’incidente
Ed era proprio a loro che pensavano i quattro, come racconta al Corriere della Sera Alessandro Milano, padre di un compagno di scuola del piccolo Manuel: «La vergogna più grande è che mercoledì il ragazzo alla guida del Suv è stato qui, sul luogo dello schianto, per quattro ore e non ha versato una lacrima. Non ho visto nessuno disperato, né lui, né i suoi amici: erano tutti sereni, perfino strafottenti. Pensavano ai follower. Hanno avuto una reazione davvero schifosa: sorridevano, hanno iniziato a fare video», ha detto il testimone.
I genitori come i figli, scollati dalla realtà
Da quanto racconta La Repubblica, i genitori dei ragazzi hanno rassicurato i figli sminuendo l’accaduto. «È incredibile, hanno rassicurato i figli» ha raccontato Valerio, dirigente dell’asilo nido che frequentava il bambino che ha perso la vita. Se è straniante un figlio che filma la morte di un bambino, è surreale il genitore che sdrammatizza. Si spinge a una considerazione il professor Renato Borgatti, Professore ordinario di Neuropsichiatria infantile all’Università di Pavia, direttore della struttura complessa in Nueropsichiatria infantile dell’Istituto Neurologico Mondino e membro della Sinpia: «Un genitore che sdrammatizza un evento del genere non lo fa per impulso protettivo, ma per l’incapacità egli stesso di comprendere la gravità della situazione. I genitori dei ventenni di oggi, sono i primi a esibirsi in selfie e a essere immersi nella cultura del like, dove non conta quello che fai perché l’importante è che lo vedano gli altri». Vivere non per vivere, ma perché gli altri possano vedere. Un enorme Grande Fratello.
Si alza il tiro, fino a filmare un bambino che muore
Molto probabilmente sono i primi, questi genitori, ad aver pubblicato le foto dei loro figli fin da piccoli e a compiacersi del presunto successo sui social dei loro ragazzi. «Tutto ciò è il segno di un drammatico scollamento dalla realtà» prosegue l’esperto. «E questo anche da parte del ragazzo che filma: ormai un fatto esista solo se si documenta». E così la caccia ai like è sempre più perversa: si alza il tiro, fino a filmare un bambino che muore.
Omicidio stradale per chi guidava ma niente concorso per gli altri YouTuber: perché?
Quel giorno al volante c’era Matteo Di Pietro, 20 anni, ora indagato per omicidio stradale e lesioni. Spiega l’avvocata penalista Stefania Crespi: «Ad oggi la contestazione è omicidio stradale e lesioni; il drugtest ha dato esito positivo ai cannabinoidi, quindi sarà contestata l’aggravante della guida sotto l’effetto di sostanze. Non si può invece al momento parlare di concorso per i ragazzi in macchina perché l’omicidio stradale è un reato colposo. Per la legge, perché ci sia concorso, occorre un delitto doloso, almeno nella forma cosiddetta eventuale, cioè quando non si vuole la morte di una persona, ma si accetta il rischio che essa capiti. Dal sequestro dei telefonini si capirà di più sul ruolo dei presenti in auto, ad esempio se incitassero». Certo tecnicamente gli altri ragazzi non saranno indagati per concorso e neanche per incitazione, perché non si potrà dimostrare. Impossibile però dal punto di vista morale accettare che l’unico responsabile sia chi guidava: gli altri erano forse passeggeri passivi?
Omissione di soccorso (ma si vedrà) per chi ha fatto il video
Chi invece ha ripreso con un video i momenti immediatamente successivi all’incidente, non è indagabile? «Al massimo per omissione di soccorso» spiega l’avvocata. «Registrare un reato non costituisce sempre un reato. Diverso per la violenza sessuale: chi filma mentre un altro pone in essere gli atti sessuali, concorre moralmente perché rafforza nell’altro l’idea di commetterlo». Anche in questo caso, quindi, la pornografia del dolore evidentemente vince.