Silvia: Mi ha scavato il vuoto intorno ma sono riuscita a lasciarlo
Premetto che non è facile raccontare questo genere di esperienza, ma è proprio avendola vissuta in prima persona che sento di dover fare qualcosa, nel mio piccolo, perché non succeda ad altre persone. Ho avuto una relazione con un ragazzo che all’inizio sembrava la persona migliore che si potesse desiderare al proprio fianco: sensibile, simpatico, premuroso. Mi riempiva di quelle piccole attenzioni, parole dolci e regali che fanno sentire amata, apprezzata, fortunata. Dopo un mese ha iniziato a dirmi che le mie amiche storiche non avevano nulla da condividere con me, che ridevano di me alle mie spalle, che erano bugiarde e invadenti. Non mi diceva espressamente “non uscirci”, ma puntualmente mi ricordava che io lo avevo deluso non prendendo nettamente posizione contro di loro che non si erano comportate bene nei suoi confronti, oppure trovava un modo per vendicarsi uscendo con un’amica e non rispondendomi per ore ai messaggi, se non per aggredirmi dicendomi che era tutta colpa mia se lo avevo fatto arrabbiare e preoccupare per me (se tornavo tardi o lasciavo guidare la mia amica). Monopolizzava le mie giornate, non mi lasciava il tempo per studiare, per lavorare, perché se non rispondevo ai messaggi e alle chiamate diventava aggressivo e spariva per ore. Ad un certo punto ha iniziato a minacciarmi di chiudere la relazione perché io lavoravo durante il weekend (sono musicista) e lui non poteva sopportare di trascorrere il sabato sera da solo (è successo due volte in tutta la storia). Mi ha impedito di accettare inviti a mangiare una pizza con i colleghi di lavoro perché non potevo fare nulla senza di lui. Non c’era mai nei momenti in cui avevo bisogno, trovava sempre una scusa per non presentarsi a casa mia e quando stavo male reagiva al mio bisogno di riposo e cura scomparendo e trovando sempre un motivo per cui io l’avevo fatto arrabbiare. Mi ha impedito di andare ad un concerto di cui avevo acquistato il biglietto tre anni prima con mia sorella, perché dovevo fare tutto solo insieme a lui. Ogni giorno mi incolpava per qualcosa, dicendomi che non avrebbe accettato discussioni perché lui è fatto così e discutere è inutile. Continuava a chiedermi di non raccontare a casa delle nostre discussioni (tra l’altro provocate sempre da lui) perché erano “cose nostre”. Continuava a dirmi che al lavoro ci avrei provato con altri ragazzi e lo avrei tradito (poi ho capito che era lui a tradire me). Ho deciso di troncare dopo tre mesi perché mi sentivo senza forze, svuotata. Non vedevo più un futuro davanti a me, non ero libera nemmeno di uscire a fare la spesa con mia madre o di andare a pranzo da mia nonna senza dover litigare. Ho deciso di condividere la mia storia perché dopo aver chiuso la relazione mi sono sentita in colpa, sbagliata. Mi rimproveravo di essere stata in qualche modo egoista perché lo avevo lasciato con una scusa (ho finto di aver accettato un’opportunità di lavoro dopo l’ennesima minaccia di lasciarmi se lo avessi fatto), senza prendermi cura di lui che mi aveva implorato di non lasciarlo solo e di aiutarlo a curare il suo dolore per la rottura con la sua ex. Ho provato tanta vergogna, ho dubitato di essere una persona intelligente per aver creduto a tutte le sue bugie, per aver allontanato le mie amiche. Oggi so di essere stata fortunata ad avere avuto un supporto costante da parte della mia famiglia e degli amici. So di aver fatto un gesto coraggioso, di amore verso me stessa. Di aver fatto bene, anche se in ritardo, a dare ascolto alla mia paura di fronte ai segnali della sua aggressività. Vorrei che la mia storia fosse utile a qualsiasi persona che si trova in una situazione simile, per darle la forza di riprendere in mano la propria vita chiedendo aiuto. L’abuso psicologico fa male quanto quello fisico, e credo che sentirsi meno soli sia un punto di partenza essenziale per uscirne. Questo non è Amore, non accettiamo di annullare noi stesse in cambio di qualcosa che non esiste. Grazie per aver raccolto la mia e tante altre testimonianze. Colgo l’occasione per ringraziarvi del lavoro che da sempre fate attraverso il vostro giornale per dare voce alle donne, raccontando storie tristi, ma anche e soprattutto esperienze positive che riempiono di speranza e coraggio noi lettrici.
La denuncia di Elena: mia figlia prigioniera, ma senza un referto medico nessuno può intervenire
Sono una mamma arrabbiatissima, per non dire altro, in quanto nessuno può raccogliere la mia denuncia di violenza domestica che mia figlia vive da parte del suo convivente. Il mio vuole essere solo uno sfogo, Il primo che il 25 novembre proverà ad attaccarmi la coccarda rossa lo mando a quel paese! Voglio raccontare la storia. Ho 50 anni, sono mamma di tre splendidi ragazzi, un maschio (appena divenuto sacerdote) e due gemelle di 23 anni. Una delle due ragazze soffre di disturbo borderline di personalità, fortunatamente diagnosticato prestissimo, seguitissima da psichiatri e psicoterapeuti ormai da più di un decennio, e, nonostante la grandissima fatica fatta negli anni, è la mia gioia più grande, perché con tanti sforzi pian piano è riuscita nell’impossibile: calmarsi, conoscersi, diplomarsi, cercare lavoretti (e ha fatto anche il servizio civile).
Ahimé, da sempre, il suo grande problema sono le relazioni personali, se non sono strani e/o problematici manco li guarda e con l’ultimo è andata a convivere ormai due anni fa. Per me è stato assurdo che mia figlia rifacesse gli stessi identici errori miei,, ma tant’è, ha voluto fare questo passo. Adesso è in una vera e propria prigione di 45 mq, con il fidanzato (CHE NON ESCE DI CASA DA 17 MESI) che pretende che lei stia perennemente solo con lui, non può più frequentare nessuno, compresa me e la sua gemella, la insulta per ogni cosa, sul suo aspetto fisico, ma anche per le sue debolezze, e ora vuole che lasci il lavoretto al Mac Donald perché “Tanto possono mantenerci i miei genitori”. I suoi sono letteralmente spariti in Calabria appena suo padre è andato in pensione. Io ho provato a parlare con lei tutti i giorni, con lui solo una volta tanti mesi fa, sulla necessità che lui pure si facesse aiutare per superare gli attacchi di panico che lo costringono in casa e che lo rendono un carceriere. Io pure ho subito violenze psicologiche e sessuali da parte del mio ex marito, quindi “riconosco i segni dell’antica fiamma”. Mia figlia è completamente in balìa di lui: “Mà, tu non capisci, lui se io non ci sto, sta male e si vuole ammazzare!” Mia figlia è una ragazza fragilissima, che ha conosciuto il buio dell’autolesionismo e sa che vuol dire stare male. Lui mi fa pena ma anche rabbia. Io che ho fatto come madre? Mi sono rivolta al Centro anti-violenza, sono andata al CIM dove lei è seguita e ho parlato addirittura col suo terapeuta (“Signora sta infrangendo il protocollo!” – echissenefrega?) , in entrambi i casi la risposta è stata una: se non c’è violenza refertata da un Pronto Soccorso non si può intervenire in alcun modo. Stiamo parlando di una malata psichica, con tanto di Legge 104, che sta con un ragazzo palesemente fuori di brocca, e che non ha segni in faccia. I segni sulla sua anima, le cicatrici sul cuore sono ahimé invisibili. Vi faccio i miei più vivi complimenti per ogni cosa che fate.
Patrizia: 30 anni con un manipolatore
Mi chiamo Patrizia, ho 56 anni. 6 anni fa ho lasciato mio marito dopo 30 di umiliazioni. Tutte le caratteristiche di un narcisista manipolatore, col tempo ha creato il vuoto intorno a me. Scaturivano discussioni per ogni sciocchezza, per lui non ero mai abbastanza, mi denigrava davanti a parenti e conoscenti in continuazione. Il dialogo non era contemplato, lui camminava sempre un passo avanti a me, io dietro. Ho dato un’idea sbagliata ai miei figli. Ora sto provando a farmi rispettare da chiunque e questo pare sia un problema, ma non importa: non camminerò mai più un passo indietro a nessuno!
Sofia Rolla: Nessun uomo è senza colpa rispetto alla violenza
Vorrei parlare il meno possibile di me e delle mie esperienze, Non perché non abbiano valore, ma perché le donne che leggeranno sanno già di cosa parlo quando racconto che il primo gesto di attenzione maschile non richiesto mi fu rivolto quando avevo 7 anni. E quando dico che mi sentii in colpa, sbagliata, anche se la colpa non era mia. Vorrei, invece, parlare agli uomini. Molti dite: «Non siamo tutti come l’assassino di Giulia». Lo sappiamo, non sto dicendo che siete tutti colpevoli. Dico che chi non fa nulla per provare a cambiare la situazione è complice. Tutti quelli che ridono a una battuta misogina sono complici. Tutti quelli che pensano di non essere parte del problema perché «io non sono così» sono complici. Tutti voi che avete insistito almeno una volta dopo un no siete complici. Ho sentito alcuni ragazzi dire: «Non può essere colpa solo di lui che ha ucciso, sicuramente anche lei…». Lei è morta. Questo è il problema.
Perché il 90% delle parole dedicate alla violenza contro le donne è pronunciato dalle donne? Perché è così difficile per voi prendere posizione? Perché non vi rendete conto che abbiamo bisogno del vostro aiuto? Invece di giustificarvi Se sei vittima di un Chi è senza PECCATO… In tantissime vi state unendo alla nostra campagna #nontiamase. Ecco sempre, perché non cercate di sensibilizzare gli altri uomini? Perché non ci difendete? Perché vi difendete, se quelle a essere uccise siamo noi? Pensate a tutte le volte in cui avete fischiato, fatto commenti sgradevoli, toccato senza permesso. Cercate nella memoria e almeno un episodio lo troverete. Parlate con più persone possibile, se sentite qualcuno sottovalutare la questione chiedetegli perché. Condividete con noi questa sofferenza. Impegnatevi per migliorare. Vi prego, iniziate a farlo, altrimenti non cambierà mai nulla».