Lo scorso 16 ottobre il Senato ha approvato, con 84 voti favorevoli e 58 contrari, la legge che rende la gestazione per altri reato universale. Questa pratica era già vietata nel nostro Paese dalla legge 40/2004 sulla procreazione assistita, tanto che chi voleva usufruirne doveva andare all’estero. Molti sono i Paesi in cui è consentita. Tra cui Stati Uniti, Canada, Russia, Ucraina, Australia, ma anche – in Europa – Regno Unito, Olanda, Portogallo e Grecia. L’Unione europea infatti non condanna la maternità surrogata, salvo nei casi in cui la gestante sia obbligata, cosa che in effetti capita in alcune realtà dove la povertà apre la strada allo sfruttamento e al traffico degli esseri umani. Che cosa cambia con l’introduzione del reato universale? Succede che le coppie di italiani, etero o omosessuali, che intendono ricorrere a una GPA in un Paese straniero sono penalmente punibili una volta rientrate a casa. Il reato universale infatti fa sì che un crimine venga perseguito da uno Stato, anche se commesso al di fuori dei suoi confini.

GPA giusta o sbagliata? Non è facile dare risposte assolute

È giusto? È sbagliato? Abbiamo sentito tante opinioni contrastanti negli ultimi giorni su questo tema. Personalmente ritengo che ogni volta che si legifera sulla vita, non solo quando si parla della fecondazione assistita o dell’interruzione di gravidanza, ma anche dell’annoso dibattito sul diritto all’eutanasia, si entra in un territorio complesso e accidentato, in cui non è facile dare risposte inconfutabili e assolute. Spesso a cuor leggero. Su tutte le questioni in cui la biologia sconfina nell’etica e il progresso scientifico si confronta con i limiti dell’umano e del lecito, bisognerebbe fare lo sforzo di non alzare le barricate e mantenere un atteggiamento il più possibile neutro, affinché ciascuno si senta libero di agire e pensare secondo coscienza.

Maternità surrogata: i miei pensieri contrastanti

Cosa che dovrebbe fare in primis uno Stato laico e democratico, assolvendo il suo compito prioritario, ovvero garantire a tutti i cittadini la libertà di scelta, fuori dalle logiche ideologiche o di partito. Il fatto che non condivida la presa di posizione del nostro governo sulla GPA, non significa che sia totalmente favorevole alla gestazione per altri, nei confronti della quale nutro da sempre pensieri contrastanti. A mettermi in crisi è il cortocircuito che viene a crearsi tra il diritto alla genitorialità, oggi agevolato dai progressi della medicina e della scienza, e il diritto all’inviolabilità del corpo delle donne.

La gestazione per altri secondo il movimento femminista

Su questo punto si è spaccata anche buona parte del movimento femminista. Da una parte ci sono coloro per le quali lo storico slogan “l’utero è mio e lo gestisco io” è applicabile anche ai casi di maternità surrogata, sottintendendo che sia la donna a decidere autonomamente se portare o meno avanti la gravidanza per altri.

Dall’altra, ci sono quante ritengono che vi sia, in ogni caso, sfruttamento del corpo femminile. Tanto più grave, ovviamente, quando la scelta è dettata da necessità. Il dichiarato altruismo, infatti, sarebbe solo di facciata, una foglia di fico che nasconde un business procreativo, che toglie alle donne dignità trattandole come mere “fabbriche di bambini” e alimentando un meccanismo che agevola i ricchi a danno delle persone in difficoltà. Andando ad analizzare le legislazioni dei Paesi in cui si pratica la GPA, vediamo in realtà che solo in alcuni di essi è consentita sia in forma retribuita che “solidale”, nella maggior parte dei casi è autorizzata unicamente a titolo gratuito.

Maternità surrogata: quali sono le motivazioni?

Ma cosa spinge una donna a “fare un bambino” per altri, per pura generosità? Non è come donare un seme o un ovulo, significa portare in grembo per 9 mesi un feto che poi diventa neonato, condividere con lui non solo il nutrimento, ma anche le emozioni, le paure, le ansie, che sempre accompagnano il periodo che conduce al parto, mettere a disposizione il proprio corpo, accettare che cambi, tenere in conto possibili rischi e infine recidere il cordone e separarsi. Una cosa che mi sembra difficilissima, quasi contro natura. Lo dico senza ombra di giudizio o di condanna, ma solo perché ho provato cosa significa vivere in simbiosi con un altro essere di cui si è genesi e casa. Lo dico perché m’interessa capire. A questo sono utili le discussioni. Non chiudersi nelle proprie posizioni ma aprirsi al dibattito. Un tempo la politica serviva anche a questo.