La Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha condannato l’Italia per il mancato riconoscimento all’anagrafe di una bambina nata da gestazione per altri di una coppia eterosessuale italiana che aveva stipulato un contratto di maternità surrogata in Ucraina. In particolare, l’anagrafe si era rifiutata di riconoscere il rapporto di filiazione stabilito dall’atto di nascita ucraino tra la bambina, il padre biologico e la madre intenzionale.

La Cedu, mantenendo l’anonimato della bimba e dei suoi genitori, ha anche stabilito che lo Stato dovrà versare 15 mila euro per danni morali e quasi 10 mila per le spese legali.

Maternità surrogata, le tappe del caso

Il caso riguarda il rifiuto delle autorità italiane di riconoscere la genitorialità del padre biologico, donatore del seme, di una bambina di quattro anni, nata in Ucraina da maternità surrogata, tramite un embrione proveniente da una donatrice anonima. Il certificato di nascita è stato redatto in Ucraina.

La vicenda ha inizio il 16 settembre 2019 quando il padre biologico e la madre intenzionale chiedono al comune in cui risiedono la trascrizione dell’atto di nascita ucraino della neonata nello stato civile. La domanda viene respinta qualche mese dopo perché “è contraria all’ordine pubblico“. La legge n. 40 del 19 febbraio 2004 sulla procreazione medicalmente assistita vieta la pratica di qualsiasi forma di maternità surrogata.

Successivamente, la richiesta di registrazione ha riguardato solo il padre biologico e, nonostante il parere favorevole della Procura di competenza, il tribunale ha respinto l’istanza in quanto contraria all’ordinamento italiano sulla maternità surrogata.

Anche il comune di residenza, infine, si è rifiutato di riconoscere parzialmente i dati di nascita della bambina, in quanto “il divieto di maternità surrogata non può essere aggirato“.

Maternità surrogata

La condanna della Corte di Strasburgo

La Corte di Strasburgo, facendo riferimento anche a sentenze pronunciate nei confronti di altri Paesi, ha ribadito che il rispetto della vita privata richiede che ognuno sia in grado di stabilire i dettagli della propria identità, incluso il rapporto giuridico genitore-figlio, e che gli Stati sono tenuti ad avere una legge che preveda la possibilità di riconoscere il rapporto giuridico tra un bambino nato attraverso un accordo di maternità surrogata all’estero e il padre intenzionale, qualora questi sia il padre biologico.

I giudici della Cedu hanno ritenuto quindi che i tribunali italiani “non siano stati in grado di prendere una rapida decisione a tutela della ricorrente a veder accertata la genitorialità del padre biologico, senza che sia stata presa in esame alcuna soluzione alternativa”.

La bambina, continua la Corte europea, “è stata tenuta fin dalla nascita in uno stato di prolungata incertezza sulla sua identità personale e, non avendo una parentela legalmente accertata, è stata considerata un’apolide in Italia”.

Italia assolta sul riconoscimento della madre designata

La Cedu ha invece assolto l’Italia per la presunta violazione dell’articolo 8 sul riconoscimento della madre designata. La madre intenzionale avrebbe potuto fare richiesta di adozione per ottenere il riconoscimento giuridico della genitorialità, “anche se generalmente la trascrizione dell’atto di nascita di un bambino nato da maternità surrogata è contrario all’ordine pubblico italiano” ma concesso in casi definiti particolari, quando cioè venga riconosciuto “il rapporto di fatto tra il bambino in questione e la persona che ha condiviso il processo creativo con il genitore biologico e si è preso cura del bambino fin dalla nascita”.