A suon di milioni, gli arabi acquistano grandi nomi del calcio. Se sei un’appassionata del pallone, saprai che dopo Cristiano Ronaldo nomi come Neymar, Mané, Milinkovic-Savic e Brozovic – solo per dirne alcuni – hanno lasciato l’Europa per volare in Arabia Saudita e guadagnare cifre da capogiro. Ora ci è andato persino l’ex allenatore deli Azzurri, Roberto Mancini. E dopo i calciatori, a essere corteggiati sono i medici e gli infermieri italiani, sempre più disposti a trasferirsi in Arabia e Paesi del Golfo.
Medici e infermieri italiani corteggiati dall’Arabia e non solo
In Italia medici e infermieri vanno incontro sempre più frequentemente a pericoli e condizioni di lavoro estenuanti, come confermano recenti fatti di cronaca. Si vedono riconosciute poche garanzie e il lavoro diventa sempre più difficile. Non c’è da sorprendersi allora se negli ultimi tre mesi 500 sanitari hanno deciso di lasciare il Paese per trasferirsi (e lavorare) in Arabia Saudita e Paesi del Golfo.
Dopo Inghilterra, Francia, Germania e Spagna, medici, fisioterapisti e infermieri italiani sono ambiti in Arabia Saudita e non solo. Li vogliono Qatar, Emirati Arabi, Kuwait, Oman e Bahrain. Entro il 2030, in Arabia Saudita saranno necessari 44mila medici e 88mila infermieri, per via dell’incremento demografico e dell’avanzamento dell’età. Per questo motivo cercano di portarsi avanti con anticipo, corteggiando i nostri sanitari. Non è un caso se 500 professionisti della sanità italiana e 50 del resto d’Europa (250 medici specialisti, 200 infermieri, 100 tra medici generici, farmacisti, fisioterapisti, dietisti e podologi) si sono resi disponibili a trasferirsi dall’altra parte del mondo. Tra loro, ci sono 100 professionisti (comprendendo camici bianchi, infermieri e fisioterapisti) al lavoro nel Veneto, l’85% dei quali nel pubblico. Lo rivela Foad Aodi, presidente dell’Associazione medici stranieri in Italia (Amsi) e componente del direttivo Fnomceo, la Federazione degli Ordini dei Medici. Il fenomeno, fa sapere, è monitorato «da 8 anni» e «purtroppo aggraverà la carenza di sanitari in Italia. Le Regioni che registrano una maggiore fuga all’estero di operatori sono Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna».
Particolarmente richiesti i medici specializzati in dermatologia, chirurgia generale e plastica, ginecologia, pediatria, ortopedia, oculistica, gastroenterologia, emergenza-urgenza e otorinolaringoiatria. Difficile dire di no a contratti stellari e condizioni di lavoro migliori, ma il presidente dell’Amsi non nasconde le sue preoccupazioni: «La fuga all’estero aggrava ulteriormente la mancanza dei professionisti della sanità, soprattutto pubblica», ha sottolineato.
Stipendi d’oro e tanto altro: ecco perché vogliono cambiare
Quali sono le ragioni che hanno già spinto tanti medici e infermieri a lasciare l’Italia? Ad averli convinti, prevedibilmente, sono stipendi record. Ma non è tutto, perché anche se lasciare il proprio Paese per andare a vivere così lontano da casa non è affatto semplice, le condizioni prospettate a chilometri di distanza appaiono nettamente migliori.
In particolare, spiega Foad Aodi, «nei Paesi del Golfo, per stare sull’ultima tendenza, i salari dei camici bianchi oscillano tra 14mila e 20mila euro al mese e quelli degli infermieri fra 3mila e 6mila, a seconda della specializzazione e dell’esperienza maturata. Ovvero minimo due anni per gli infermieri e gli altri professionisti della sanità e cinque anni per i medici». Ai sanitari sono destinati anche «casa, servizi, inserimento scolastico per i figli, agevolazioni fiscali e burocrazia snella e veloce». Un vero miraggio per chi resta in Italia…
Il presidente dell’Amsi ha precisato: «Il 99% dei sanitari italiani ha accettato l’offerta prima di tutto per la grande stanchezza accumulata in anni di lavoro in ospedale, con orari e carichi di lavoro ormai insopportabili. Situazione esasperata dalla pandemia da Covid-19. E poi c’è appunto il fattore economico, con retribuzioni doppie e triple rispetto a quelle percepite in patria. Infine, contribuisce alla decisione la voglia di maturare un’esperienza all’estero, almeno per quattro anni».