Un’intervista esclusiva a Salvatore Parolisi, in permesso premio. A “Chi l’ha visto?“, nella puntata di mercoledì 5 luglio, ha parlato per la prima volta l’ex militare condannato in via definitiva per l’omicidio della moglie, Melania Rea, uccisa con 35 coltellate nel 2011 nel bosco di Colle San Marco, nel Teramano.
“L’ho tradita, ma non l’ho uccisa”
Parolisi, che ha scontato 12 dei 20 anni di carcere previsti dalla sentenza di condanna, può ora usufruire dei permessi giornalieri e lasciare la struttura carceraria di Bollate (Milano) dove è recluso. “Mi hanno dato 12 ore di permesso dopo 12 anni“, racconta. E nonostante tre condanne si dichiara ancora innocente: “Ho tradito Melania più volte, ma non l’ho uccisa. Con Ludovica era solo una scappatella…”.
Parolisi: “Non c’è prova che sia stato io a uccidere Melania”
“Non vedevo Ludovica da cinque mesi, non avrei mai lasciato Melania… ma sua madre era troppo presente”, ripete l’ex caporal maggiore, oggi centralinista del penitenziario del Milanese. “Da uomo, da militare e da padre penso una cosa: se tu giudice pensi che sia stato io mi devi dare l’ergastolo, non vent’anni. Butti la chiave e non mi fai più uscire. E me lo provi però perché non me l’hanno mai provato”.
“Un lavoro? Scappano quando sentono il mio nome”
Infine, sulla possibilità di uscire dal carcere, ha concluso: “Mi mancano quattro anni l’anno prossimo, se trovassi un lavoro potrei uscire. Ma chi me lo dà? Guadagno 800 euro, quando sentono il mio nome e cognome scappano, fanno il deserto”.
La reazione della famiglia di Melania Rea
Immediata la reazione della famiglia Rea. Poco prima della messa in onda dell’intervista a “Chi l’ha visto?”, il fratello di Melania, Michele, ha dichiarato al quotidiano il Centro: “In tv ripeterà che è innocente, che non ha ucciso. Ma niente potrà cancellare quello che ha fatto. Pensare che lo dirà ancora una volta ci addolora e ci fa tanta rabbia. Può dire quello che vuole, ma ci sono tre sentenze, tre gradi di giudizio che stabiliscono che lui ha ucciso mia sorella lasciandola agonizzante, colpendola mentre la figlioletta era in macchina”.
“Dopo l’omicidio di Melania – continua Michele Rea – la mia famiglia ha fondato un’associazione contro la violenza sulle donne perché l’attenzione resti sempre alta, ma è lo Stato che deve fare di più. Invece resta al balcone a guardare gli omicidi che aumentano, a fare sconti agli assassini che possono rifarsi una vita. Ma alle vittime chi ci pensa?”.
La vicenda e i gradi di giudizio
Il cadavere di Melania Rea viene trovato il 20 aprile 2011 nel boschetto delle Casermette di Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo. E’ una telefonata anonima, partita da una cabina nel centro di Teramo, a permettere l’individuazione del corpo senza vita della donna. Due giorni prima il marito, Salvatore Parolisi, ne aveva denunciato la scomparsa.
Dalle indagini emerge che la 28enne, madre di una bimba di 18 mesi, è stata aggredita alle spalle e colpita a morte con 35 coltellate. Salvatore Parolisi, che si è sempre dichiarato innocente, viene arrestato il 19 luglio 2011.
Un anno dopo inizia il processo con rito abbreviato. La pena a 30 anni in primo grado viene ridotta a 20 in Appello e confermata in Cassazione. Quest’ultima, confermando la responsabilità di Parolisi nel delitto, annulla l’aggravante della crudeltà. Nelle motivazioni si dice che il delitto scaturì “dopo un impeto d’ira, nato da un litigio tra i due coniugi e dovuto alla conclamata infedeltà coniugale dell’uomo“, legato sentimentalmente a una soldatessa, Ludovica.