Tutto pronto per il fischio d’inizio dei Mondiali di calcio femminili, ma a pesare non è solo lo stress pre-partita. Sulle atlete incombe il rischio di incappare – nuovamente – nella discriminazione e in un approccio sessista alla kermesse sportiva, come accaduto solo pochi giorni fa in occasione dei Mondiali di tuffo in Giappone. In quel caso a sollevare polemiche sono stati i commenti di due telecronisti Rai, Lorenzo Leonarduzzi e Massimiliano Mazzucchi, che nella mattina di lunedì 17 luglio durante il racconto della finale femminile di tuffi sincronizzati dal trampolino, hanno usato frasi razziste e inappropriate, segnalate da diversi telespettatori. I social non perdonano e così via Twitter ne sono state riportate alcune («Le olandesi sono grosse. Ma tanto a letto sono tutte uguali»; «Questa è una suonatrice d’arpa, come si suona l’arpa? La si tocca, la si pizzica. Si La Do. Gli uomini devono suonare sette note, le donne soltanto tre»).

La classifica delle capitane più sexy e brave

Ora che le azzurre del calcio sono pronte a giocare sul prato di Nuova Zelanda e Australia, arriva anche una classifica sulle capitane delle squadre che “attirano maggiormente l’attenzione”, sia dal punto di vista estetico che sportivo. Secondo un sondaggio di una piattaforma di love affaire extraconiugali, infatti, sul podio ci sarebbero Daniela Montoya (Colombia), Ivana Andrés (Spagna) e Millie Bright (UK), mentre la leader della Nazionale italiana Sara Gama si piazzerebbe all’8° posto nelle preferenze sia degli uomini che delle donne. «Intanto ricordiamo che Sara Gama non c’è neppure perché la Ct della Nazionale, Milena Bertolini, ha fatto altre scelte. La sua esclusione, in quanto rappresentante del movimento del calcio femminile, ha sicuramente fatto discutere, ma ancor di più il fatto che si stilino ancora classifiche sulla base di fattori estetici», commenta Monica D’Ascenzo, giornalista de Il Sole 24 Ore, responsabile di Alley Oop e autrice del libro Gameday. Perché le ragazze devono imparare a correre dietro a un pallone (Gribaudo). «Credo che le classifiche appartengano a una cultura che ormai ha fatto il suo corso: non hanno più appeal per la generazione Z, almeno non per come le conosciamo noi che siamo cresciuti con le veline o concorsi come Miss Italia, che oggi non è più trasmesso dalla Rai ed è diventato un evento più marginale. Insomma le classifiche bisognerebbe farle su altri parametri», aggiunge D’Ascenzo.

Commenti sessisti sulle sportive: quando finiranno?

Eppure classifiche e commenti sessisti esistono ancora: «Oggi fa discutere, giustamente, un caso come quello dell’agenzia di pubblicità che aveva una chat – di cui facevano parte circa 80 uomini – che stilava la classifica delle colleghe da un punto di vista fisico», conferma la giornalista. Come emerge dalla ricerca Social Athletes condotta da DAZN nel 2020 analizzando il profilo social di 3 sportive e 3 sportivi di spicco nel panorama italiano, la maggior parte delle parole d’odio si ritrova in commenti che riguardano l’aspetto fisico: per le atlete rappresentano il 24% (+2% vs. 2019) del totale, quasi un messaggio su quattro, mentre per gli atleti si fermano al 9% circa (-2% vs. 2019). Se poi un’atleta donna posta un selfie le molestie arrivano al 22%, pari a un commento su cinque, contro il 6% degli atleti uomini. Perché? «È un retaggio culturale che penso andrà a scomparire. Il 90% delle atlete, infatti, si concentra sullo sport e pur avendo i social non punta sulla propria avvenenza fisica. Coloro che fanno commenti in genere sono adulti cresciuti in un periodo storico in cui i modelli erano le veline, le vallette di Sanremo o le protagoniste di programmi come Non è la Rai. Penso che lo sforzo di invertire la rotta, comunque, dovrebbe arrivare soprattutto dalle donne, che dovrebbero essere le prime a non commentare le altre donne fisicamente», sottolinea D’Ascenzo. In effetti anche nel caso della premier Giorgia Meloni, fotografata in un momento privato con la figlia e il compagno al mare in costume, molti dei commenti sul suo fisico erano di donne.

In Svizzera stop alle inquadrature tv inappropriate

Di fronte a commenti inappropriati o comportamenti apertamente lesivi del rispetto e della dignità delle sportive, intanto, la Federazione Svizzera di ginnastica artistica ha deciso di intervenire con norme molto restrittive per i fotoreporter. Per esempio, non potranno effettuare scatti che rischino di oggettivare il corpo delle atlete o “suggerire” riferimenti sessuali. L’esempio più lampante è che diventino vietate foto frontali delle campionesse a gambe divaricate, pena il ritiro dell’accredito e l’estromissione dalle competizioni. Può servire o è un’ulteriore limitazione? «Il problema è che nelle redazioni non esiste ancora una consapevolezza nella scelta delle immagini che eviti stereotipi e scelte non appropriate, non solo per le donne. Per esempio, in un articolo su una persona con disabilità spesso la foto è stereotipata o rischia di non essere in linea con una cultura inclusiva – osserva D’Ascenzo – Temo che il solo divieto non sia la soluzione, occorre un passaggio culturale. In Italia, ad esempio, ha fatto discutere il caso della ginnasta Linda Cerruti, in posa in spiaggia con le 8 medaglie vinte agli Europei: il problema non era neppure la posa scelta (in verticale con le gambe divaricate e le medaglie appese alle gambe stesse, NdR), ma negli occhi di chi guarda. Anche quel caso, però, è servito per capire che occorre un cambio di visione», commenta la giornalista e scrittrice».

Cosa manca ancora al calcio femminile?

Certo al calcio femminile e allo sport in rosa in genere, manca ancora qualcosa per avere una reale parità. Basti pensare che dal sondaggio Le donne e gli Esports dell’Osservatorio italiano Esports con Demoskopea Consulting, è emerso che per le donne che vogliono intraprendere la carriera da professioniste è più difficile trovare sponsor, perché si ritiene che sia appannaggio maschile: «Sì, è ancora difficilissimo far passare il concetto, soprattutto nel mondo del calcio che resta uno sport di nicchia per le donne e le ragazze in genere. Basti pensare che le famiglie delle giocatrici che oggi sono in Nazionale raccontano di come i campi di calcio messi loro a disposizione per gli allenamenti fossero senza linee di demarcazione, come campi di patate, e senza spogliatoi. È incredibile che dopo tanta fatica per arrivare al livello in cui sono oggi, godano ancora di così poca considerazione. Provengono da realtà normali, non da famiglie facoltose (nessuno dei parenti le ha potute seguire ai Mondiali perché il costo della trasferta, intorno ai 7.000 euro ciascuno, è troppo proibitivo)», spiega D’Ascenzo.

La strada verso la parità

La strada verso la parità è ancora lunga, quindi, e passa da un cambio di mentalità a più livelli: «Ancora oggi ci sono molti genitori che faticano a lasciare che le proprie figlie scelgano il calcio come sport, invece che danza o altre discipline ritenute più “femminili”», osserva la giornalista, mentre in altre realtà come gli Usa il soccer, che è il termine con cui si chiama il calcio, è prevalentemente uno sport femminile. «C’è infine un problema di visibilità pubblica. Basta fare un esempio: alla presentazione dei palinsesti della Rai è intervenuto il telecronista Alberto Rimedio, lo stesso che non poté fare la telecronaca dell’europeo maschile per l’esclusione della Nazionale. In quella occasione si limitò a dire “Speriamo di rifarci con le qualificazioni ai Mondiali per la nostra Nazionale”, senza citare il fatto che invece la rappresentativa femminile avrebbe giocato di lì a 10 giorni. Questo indica quanto ci sia poca considerazione per le nostre giocatrici anche da parte di chi lavora nel mondo del calcio», conclude Monica D’Ascenzo.