Secondo i dati dell’Oms sono 200 milioni le donne nel mondo che convivono con una delle mutilazioni genitali esistenti. E quattro milioni le bambine che ogni anno rischiano di subirne una. In Italia risiedono circa 80 mila donne mutilate (7mila sono minori), mentre rischiano mutilazioni clandestine circa quattromila bambine l’anno.
A fronte di dati che fanno rabbrividire, la maggior parte degli operatori sanitari italiani considera inadeguata la propria formazione sul tema. E cade in errori e luoghi comuni, come quello secondo cui la pratica viene effettuata per motivi religiosi. È quanto è emerso in occasione di un evento organizzato dall’Iss e dall’Università Cattolica del Sacro Cuore, campus di Roma, in vista della giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (Mgf) del 6 febbraio.
Operatori sanitari impreparati
L’indagine pilota nazionale condotta dal Centro di ricerca in Salute globale dell’Università Cattolica del Sacro Cuore ha coinvolto oltre 300 medici, in particolare ginecologi, ostetriche e pediatri, contattati attraverso survey online. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Reports on Global Health Research.
Oltre il 60% degli operatori considera inadeguata la propria formazione sul tema delle mutilazioni genitali femminili. Inoltre, circa il 70% non dispone di informazioni sufficienti per indirizzare le pazienti verso strutture specializzate. Dal punto di vista delle mutilazioni riscontrate dai medici che hanno risposto alla survey, la più frequente sembra la lesione clitoridea. Mentre il momento del parto è quello dove con più probabilità viene accertata dagli operatori l’infibulazione vera e propria.
Mutilazioni genitali femminili: i luoghi comuni da sfatare
Più del 50% degli intervistati, inoltre, indica le questioni religiose come un fattore chiave che spinge verso la pratica delle mutilazioni. Mentre invece, sottolineano gli autori, nessuna fede religiosa né islamica né cristiana (copta) richiede questo intervento. Il Centro Nazionale per la Medicina di Genere dell’Iss spiega che «la nascita delle mutilazioni genitali femminili precede quella delle religioni monoteiste e vengono praticate anche all’interno di comunità cristiane, in tutti i contesti culturali e socioeconomici possibili e in tutti i Continenti del mondo tranne in Antartide (così come in diversi Paesi africani)».
A questo proposito l’Iss individua cinque luoghi comuni da sfatare sulle Mgf:
- «sono una pratica musulmana o una pratica religiosa»;
- «alcune forme sono meno gravi»;
- «sono praticate solo da persone scarsamente istruite, socialmente svantaggiate o in contesti rurali»;
- «sono una questione africana»;
- «praticarle in ospedale riduce i rischi».
«Grave violazione dei diritti delle donne»
Le Mgf rappresentano una violazione dei diritti delle donne e una forma specifica di violenza di genere che può determinare problematiche gravi di tipo infettivo o al momento del parto. La loro medicalizzazione non implica necessariamente una maggiore sicurezza: gli effetti psicologici e fisici rimangono gravi e preoccupanti. «Questa pratica è purtroppo una realtà che ci riguarda anche da vicino. Il fenomeno non conosce confini e coinvolge circa 80mila donne. Tra cui 7mila minori anche nel nostro Paese, spesso invisibili nella loro sofferenza» ha affermato il presidente dell’Iss Rocco Bellantone, aggiungendo che «le mutilazioni genitali non sono solo una grave violazione dei diritti umani, ma anche un problema sanitario che richiede il nostro massimo impegno».
La proposta di un Osservatorio Nazionale
Alle affermazioni di Bellantone fa eco Walter Malorni, direttore scientifico del Centro di ricerca in Salute globale della Università Cattolica, secondo il quale si rende necessaria «la costruzione di una rete nazionale che non solo diffonda consapevolezza, ma offra soluzioni concrete per la prevenzione e il trattamento delle conseguenze delle Mgf e che possa agire su tutto il territorio con la collaborazione della medicina territoriale e della Croce Rossa. L’idea è di proporre al Dipartimento pari Opportunità, che si occupa attivamente della questione, un Osservatorio Nazionale, un’attività di formazione degli operatori sanitari inclusi i mediatori culturali e di comunicazione».