A un anno dal ritrovamento del cadavere di Giulia Cecchettin, la studentessa 22enne uccisa dall’ex fidanzato reo confesso Filippo Turetta, è nata per volere del padre Gino la Fondazione Giulia Cecchettin. «Siamo qui per dare forma concreta a un sogno nato da una tragedia immane – ha detto il padre nel corso del suo intervento nella Sala della Regina alla Camera -. A volte la vita ti sorprende e ti dà la possibilità di trasformare il dolore in uno scopo, uno scopo che è la Fondazione Cecchettin, che vuole essere un richiamo collettivo che ci invita a guardare oltre a noi stessi e al futuro delle giovani generazioni».

La forza di Gino Cecchettin

Toccanti le parole di Gino Cecchettin, che dal giorno in cui Giulia è scomparsa, per poi essere ritrovata senza vita, ha sempre mostrato forza e determinazione per dare un senso a quello che era successo alla figlia. «Ho attraversato la morte nella sua essenza più profonda, prima con la perdita di mia moglie, poi con quella di Giulia – ha spiegato -. È iniziato in me un processo all’affermazione del bene che nell’udienza di Filippo ha raggiunto la maturità perché non ho avuto il pensiero di odiarlo». L’amore come unica via, come molla che cancella il dolore e spinge per un rinnovato impegno che deve, anzitutto, coinvolgere i giovani: «Nel nome di Giulia io posso solo scegliere di far crescere l’amore – ha continuato il padre -, perché questa è l’unica scelta che le assomiglia, l’unica possibile se voglio mantenere viva una parte di lei. Ognuno di noi è chiamato a contribuire, ognuno di noi può fare la differenza. È una responsabilità che non possiamo ignorare. È il tempo di unire le forze, di costruire ponti invece di erigere muri, di guardare al futuro con speranza e determinazione».

I femminicidi continuano

Un impegno necessario, urgente, anche perché, come ha sottolineato lo stesso Gino Cecchettin, dalla morte di Giulia «sono state uccise altre 120 donne soltanto in Italia. Migliaia e migliaia nel mondo. Numeri inimmaginabili! Non possiamo più permetterci di rimanere indifferenti. Non c’è più tempo per voltare lo sguardo altrove. In questo ultimo anno ho ricevuto messaggi strazianti di donne intrappolate nella paura».

I sostenitori della Fondazione Cecchettin

Nel corso della presentazione della Fondazione sono intervenuti, tra gli altri, la campionessa olimpica Federica Pellegrini che ha definito l’iniziativa «un faro di speranza per la solidarietà», il vicepresidente della Camera, Giorgio Mulé, per cui «Giulia è il chicco di grano che non perde la vita», la ministra per la Famiglia e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella che ha evidenziato la necessità di «un cambiamento culturale».

Polemica per le parole del ministro Valditara

A far rumore, però, sono state le parole del ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, che ha affermato: «Di solito i percorsi ideologici non mirano mai a risolvere i problemi ma affermare una personale visione del mondo. La visione ideologica è quella che vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato». Per poi aggiungere: «Occorre non far finta di non vedere che l’incremento dei fenomeni di violenza sessuale è legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale».

La replica di Gino Cecchettin

La risposta di Gino Cecchettin è arrivata attraverso le pagine del Corriere della Sera. «Vorrei dire al ministro che chi ha portato via mia figlia è italiano. La violenza è violenza, indipendentemente da dove essa arrivi. Non ne farei un tema di colore, ma di azione. Di concetto». Secondo il papà di Giulia, il ministro Valditara ha «descritto benissimo» il patriarcato: «Non è che se neghi una cosa questa non esiste. Il ministro ha parlato di soprusi, di violenze, di prevaricazione. È esattamente quello il patriarcato ed è tutto ciò che viene descritto nei manuali. Mi sembra solo una questione di nomenclatura. È la parola, oggi, che mette paura: ‘patriarcato’ spaventa più di ‘guerra’. È un problema sociale, non ideologico. Quando ci riapproprieremo tutti del significato di questa parola, vorrà dire che avremmo fatto metà della strada».

L’intervento di Elena Cecchettin

Dai social è arrivata anche la risposta di Elena Cecchettin, sorella di Giulia. «Forse se invece di fare propaganda alla presentazione della Fondazione che porta il nome di una ragazza uccisa da un bianco italiano e ‘per bene’, si ascoltasse non continuerebbero a morire centinaia di donne nel nostro Paese ogni anno – ha scritto su Instagram -. Mio padre ha raccolto i pezzi di due anni di dolore e ha messo insieme una cosa enorme. Per aiutare le famiglie, le donne a prevenire la violenza di genere e ad aiutare chi è già in situazioni di abuso. Oltre al depliant proposto (che già qua non commentiamo) cos’ha fatto in quest’anno il governo? Perché devono essere sempre le famiglie delle vittime a raccogliere le forze e a creare qualcosa di buono per il futuro?».