È attesa a ore la convalida del fermo dei due minori accusati dell’omicidio di Thomas Christopher Luciani, il 16enne accoltellato domenica sera al parco Baden Powell di Pescara. Sono imputati in concorso per aver inflitto “un totale di circa 25 colpi per mezzo di coltello” alla giovane vittima in zone vitali del corpo, causandone la morte, è scritto nel provvedimento del procuratore capo del Tribunale dei minori dell’Aquila, David Mancini. Il magistrato ha sottolineato le sevizie subite dal ragazzo e la crudeltà dei suoi assassini, rispettivamente figlio di un avvocato e di un carabiniere.

Omicidio di Thomas, il testimone chiave: “Non sapevo come fermarli”

Fondamentale per le indagini l’allarme sull’omicidio lanciato dal “testimone chiave” dell’assassinio, figlio di un colonnello dei carabinieri. “Ero allibito, volevo fermarli, ma non sapevo come fare. Sembrava che non ci stessero più con la testa“, ha raccontato in Procura il giovane, la cui testimonianza è stata determinante per fare chiarezza sulle presunte responsabilità della morte del sedicenne, lasciato cadavere tra i cespugli di un parco a ridosso di un sottopasso della ferrovia.

I verbali degli interrogatori che ricostruiscono i fatti della scorsa domenica sono pieni di particolari, molti raccapriccianti. Il gruppo, composto da almeno cinque minorenni, si sarebbe incontrato nel pomeriggio alla stazione ferroviaria di Pescara centrale per poi andare al parco, dove avrebbero “attirato nella trappola” Thomas, scrivono gli inquirenti, che doveva circa 240 euro a uno dei suoi assassini.

“Gli dicevano di stare zitto mentre moriva”

“Quando ci siamo ricongiunti al resto del gruppo tutti hanno saputo cosa era successo perché io, giunto per primo, l’ho raccontato. Nonostante l’accaduto siamo andati al mare a fare il bagno” continua il giovane testimone che, una volta a casa, ha raccontato tutto ai genitori, facendo scoprire l’accaduto.

“Io non ho reagito in alcun modo – ha detto ancora – Christopher faceva dei versi quasi di morte e loro gli dicevano di stare zitto. Lui era a terra, con una gamba accavallata all’altra, ripiegato per terra, esposto ai colpi sul fianco destro”. E ancora: “Io ero davvero frastornato ed ho capito che non era qualcosa che potessi tenere per me e quindi ne ho parlato” con il padre, che poi ha lanciato l’allarme.

Durante l’interrogatorio il testimone ha anche mostrato lo scambio di messaggi con un altro ragazzo del gruppo, in cui “si parla della necessità di denunciare l’accaduto” e si è detto “sicuro” che Thomas “era morto, erano tante coltellate davanti a me. Ad esempio aveva avuto una coltellata all’addome, una coltellata alla gamba, dove ci sono le arterie”.

Il luogo dell'omicidio del giovane Thomas

“Uno di loro aveva una pistola”

Il testimone chiave del delitto – ha raccontato un altro giovane del gruppo ascoltato dagli inquirenti – una volta uscito dalla vegetazione “era completamente giallo in viso e sembrava stesse per finire”. “Mi accorgo che è completamente scioccato. Gli chiediamo che cosa sia successo e lui ci dice ‘è morto'”. Dopo poco escono dal vicolo anche i due ragazzi sottoposti a fermo, “non ricordo le parole precise che hanno detto. Ci hanno fatto capire che era morto e che lo avevano accoltellato“.

“Al mare – ha detto ancora – hanno raccontato in sintesi quello che è successo. So che hanno dato delle coltellate. È questo quello che so”. Il ragazzo ha sottolineato anche che uno dei due giovani sottoposti a fermo “aveva una pistola. Me l’ha fatta vedere dopo che era finito tutto. Ce l’aveva in tasca. Non so come ce l’avesse. Mi ha detto che era scarica, senza colpi”.

Un altro dei giovanissimi coinvolti, nella sua testimonianza, si è detto convinto che i due ragazzi ora sottoposti a fermo “si siano organizzati per questa cosa, per incontrare questo ragazzo”.

Omicidio di Thomas, il padre del testimone: “Non mi assolvo”

“Mio figlio vivrà una vita da consegnato, come diciamo noi. Desidero che tenga presente nel tempo cosa è accaduto, che abbia vivo il ricordo del ragazzo che ha visto morire e che ne sia all’altezza” dice il padre del testimone chiave del delitto, colonnello dei carabinieri già in servizio a Pescara e ora in altra provincia della Regione Abruzzo a Il Corriere della Sera.

Quando gli chiedono se questo suo pensiero sia una sorta di rispetto perenne per la vittima, il colonnello non ha dubbi “Sì, è questo”. In altra parte dell’intervista il carabiniere padre spiega: “Non solo non mi assolvo come padre, ma dico che qui nessun adulto può farlo davvero, e che forse è peggio di come la state rappresentando”, in riferimento alla stampa.

E ancora, alla domanda su se e quanto controllasse il figlio, l’uomo ha risposto: “Gli chiedevo dove andasse e cosa facesse, chi erano i suoi amici e come impiegassero il tempo. La risposta era rassicurante e per certi versi ingannevole. Mi diceva: ‘Esco con il mio amico, figlio di un avvocato’, oppure: ‘Mi vedo con quell’altro, figlio di un tuo collega’. Avrei dovuto indagare più a fondo? Avrei dovuto non accontentarmi?”.