Di tutte le immagini che rimarranno indelebili nella nostra memoria, dei 12 anni di Pontificato di Jorge Mario Bergoglio, ce n’è una che a me resterà più impressa delle altre. È quella del 10 aprile scorso, quando con pantaloni neri da sacerdote e poncho, il Papa si è recato nella Basilica di San Pietro per una visita a sorpresa.
È ancora convalescente, dopo più di un mese trascorso al Policlinico Gemelli per curare una polmonite bilaterale e, anche se appena il giorno prima ha incontrato re Carlo e Camilla in viaggio in Italia, sa bene che deve dosare le forze. I medici si sono raccomandati. Però quella mattina non può fare a meno di scendere nella basilica vaticana, per vedere come procedono i lavori di restauro alla vigilia della Settimana Santa, scambiare due parole con le restauratrici, scherzare con i bambini che lo fermano sorpresi. Ha l’aria affaticata, due naselli per l’ossigenazione che gli escono dalle narici, una maglietta della salute che si intravede sotto la mantella da campesino a righe, il volto e le mani gonfie per il cortisone. Si muove in carrozzina.
Non c’è niente, nella sua figura sofferente e “in borghese”, della solennità che sprigiona il Santo Padre quando indossa il talare bianco e lo zucchetto d’ordinanza. È solo un uomo. Un vecchio uomo di 88 anni, che ha voglia di tornare alla vita, dopo essersela vista brutta, bruttissima in ospedale. Sorride, come sempre. Ma si vede che è fragile come vetro soffiato.
Un pontificato rivoluzionario, iniziato con un nome
Amo questa immagine, perché è quella che più di tutte “incarna” il messaggio di questo Papa rivoluzionario. La missione che si è dato quando nel 2013 è stato chiamato a guidare la Chiesa, scegliendo non a caso il nome di Francesco, il “giullare di Dio”, l’amico dei poveri e dei dimenticati, il cantore delle bellezze del Creato. Come il Santo d’Assisi, fin dall’inizio del suo mandato Bergoglio si è spogliato di molti degli agi e dei privilegi che le sue funzioni gli conferivano e ha sfidato il potere. Ha trasgredito le regole che il rigido protocollo gli imponeva, pur di essere più vicino alla gente, più coerente con gli obblighi che sentiva di dover assolvere come Vescovo di Roma. Mettendo in discussione consuetudini e dogmi. Facendo scelte controcorrente.
Le scelte controcorrente di Papa Francesco
Unico Papa dell’era moderna a essere stato eletto con il suo predecessore ancora in vita, Francesco di decisioni controverse durante il suo governo ne ha prese parecchie: ha deciso di vivere fuori dal Palazzo apostolico, a Santa Marta; ha abolito il segreto pontificio per i casi di abusi sessuali; concesso i sacramenti ai divorziati risposati; accolto le persone Lgbtq+ perché la Chiesa è «la casa di tutti»; aperto ai rappresentanti di altre confessioni; affidato incarichi di responsabilità alle donne, dando loro diritto di voto al Sinodo dei Vescovi, una svolta storica. E, poi, si è scrollato di dosso la sacralità del suo ruolo per stare accanto agli ultimi. I carcerati, i poveri, i migranti, i senzatetto. Recuperando l’essenza del cristianesimo delle origini. Rendendo omaggio alla fragilità. Che non è una brutta cosa, un difetto da nascondere. Per questo quel poncho ha un valore simbolico così importante. Ci dice che persino il Papa, la personalità più potente sulla Terra, sicuramente la più vicina a Dio, privata delle sue vesti e del suo ruolo, è una persona come tutte le altre. Vulnerabile. Indifesa.
«Guai a chi non si sente fragile»
Prima che il Papa morisse, il 21 aprile, giorno di Pasquetta, lasciando tutti ammutoliti e sgomenti, avevo già chiuso un altro editoriale in cui parlavo di vuoti. Quelli che tutti, in certi momenti, sentiamo dentro. Vuoti come buche o pozzanghere, su cui ogni tanto, ci capita di inciampare. Oppure come voragini, burroni sul cui ciglio pericolosamente ci affacciamo rischiando a volte di cadere giù. Ci fa paura essere imperfetti e friabili. Ci fa sentire sbagliati. Invece siamo semplicemente umani. Onnipotenti e minuscoli. «Guai alle persone che non si sentono fragili» ha detto un giorno Papa Francesco. Forse pensando a quei prepotenti, che senza avere coscienza dei propri limiti pensano di poter decidere delle sorti del mondo. La verità è che non possiamo decidere neppure delle nostre.