I giovani che si affacciano al mondo del lavoro dovranno fare i conti con una pensione che arriverà sempre più tardi. Gli under 35 di oggi dovranno infatti aspettare i 74 anni d’età per avere un assegno netto di poco superiore a mille euro.
Sono queste le stime della ricerca “Situazione contributiva e futuro pensionistico dei giovani”, realizzata dal Consiglio Nazionale dei Giovani assieme a Eures. Stime addirittura peggiori di quelle dall’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico), secondo le quali i 22enni diventati lavoratori nel 2020 arriveranno all’età pensionabile di 71 anni.
Le proiezioni per i lavoratori dipendenti
Tenuto conto che per lasciare il lavoro è necessario aver maturato un assegno 2,8 volte superiore a quello minimo, per andare in pensione i lavoratori dipendenti che oggi hanno meno di 35 anni dovranno attendere fino ai 69,6 anni di età, con importo dell’assegno medio lordo pari a 1.249 euro (951 euro mensili al netto dell’Irpef). Se la permanenza si protraesse fino al 2057, determinando così un ritiro quasi a 74 anni (73,6), l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.577 euro lordi mensili (1.099 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,1 volte l’importo dell’assegno sociale.
E per le partite Iva?
Per i lavoratori in partita iva (sempre con permanenza fino al 2057 e un ritiro a 73,6 anni) l’importo dell’assegno pensionistico ammonterebbe a 1.650 euro lordi mensili (1.128 al netto dell’Irpef), valore che equivale a 3,3 volte l’importo dell’assegno sociale.
Situazione “socialmente insostenibile”
La presidente del Cng, Maria Cristina Pisani, sottolinea che “la combinazione di precarizzazione, discontinuità lavorativa e retribuzioni basse per i lavoratori under 35 non solo rende più difficile l’ingresso nel mercato del lavoro, ma determinerà la loro uscita solo per vecchiaia, con importi pensionistici molto bassi. Una situazione che, se non si interviene, sarà socialmente insostenibile”.
“È necessario – prosegue Pisani – un dibattito più approfondito sulle questioni previdenziali: la questione demografica e il passaggio al sistema del ‘contributivo puro’ mettono infatti ulteriormente a rischio la sostenibilità del nostro sistema pensionistico“.
“Grave distorsione del sistema”
“Sono stime – aggiunge Alessandro Fortuna, consigliere di Presidenza con delega alle politiche occupazionali e previdenziali – che evidenziano la grave distorsione del sistema, così come attualmente definito, che non soltanto proietta nel tempo le diseguaglianze reddituali, rinunciando a qualsivoglia dimensione redistributiva, ma addirittura risulta punitivo verso i lavoratori con redditi più bassi, costretti a permanere nel mercato del lavoro (al di là dell’anzianità contributiva) per tre o addirittura sei anni più a lungo dei loro coetanei con redditi più alti e ad una maggiore stabilità lavorativa”.