«Le responsabilità devono essere definitivamente accertate e auspico che il lavoro delle autorità preposte si svolga con l’efficacia e la prontezza necessarie a ogni sentimento di giustizia». Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel sesto anniversario del crollo del ponte Morandi a Genova. Una tragedia, che costò la vita a 43 persone. Ma la giustizia sembra, purtroppo, ben lontana. Infatti, il maxi-processo, iniziato nel luglio del 2022, è ancora in corso e la sentenza rischia di slittare al 2026.

Il maxi-processo per il Ponte Morandi

Era il 14 agosto del 2018 quando il ponte Morandi, un viadotto autostradale che attraversava la città di Genova, crollò trascinando con sé i veicoli che lo stavano percorrendo. Per l’accaduto, sono imputate 59 persone. Si tratta di tecnici e dirigenti della concessionaria Autostrade per l’Italia, del Ministero delle Infrastrutture e di Spea Engineering, che si occupava delle manutenzioni.

Le accuse vanno, a vario titolo, da omicidio colposo plurimo a omicidio stradale, crollo doloso, omissione di atti d’ufficio, attentato alla sicurezza dei trasporti, falso e omissione dolosa di dispositivi di sicurezza sui luoghi di lavoro.

Un dibattimento infinito

Il processo è iniziato nel luglio del 2022 e si svolge in una tensostruttura allestita nel cortile del Tribunale di Genova. Le parti civili sono 220. Tra loro c’è anche il Comitato dei parenti delle vittime.

Le società Aspi e Spea sono uscite dal processo tramite un patteggiamento, dopo avere risarcito le vittime e preso le misure necessarie per evitare che un evento del genere si ripeta. Inoltre, hanno versato allo Stato quasi 30 milioni di euro, una somma che secondo la Procura equivarrebbe al costo dei lavori che avrebbero potuto impedire il crollo.

Ponte Morandi: perché crollò?

Due anni dopo l’inizio del processo, il dibattimento – finora ci sono state 170 udienze e sono stati ascoltati 324 testimoni – non è ancora concluso e la sentenza rischia di arrivare solo tra due anni. Il motivo? Il prossimo 23 settembre i giudici dovranno decidere se per la ricostruzione delle cause del disastro ci si debba basare solo sulla maxi-perizia già svolta al momento dell’incidente probatorio oppure disporre una integrazione, così come richiesto dagli avvocati difensori degli imputati.

Il crollo del Ponte Morandi a Genova

Le cause del disastro

Si tratta di una decisione importantissima. Infatti, nella perizia depositata nel dicembre del 2020, il crollo veniva addebitato alla corrosione dei tiranti di acciaio. Secondo i periti, se fossero stati eseguiti periodicamente controlli e manutenzione, si sarebbe potuto evitare il verificarsi della tragedia.

Una conclusione che non convince la difesa. Secondo i legali degli imputati, così come dimostrato in alcune consulenze di parte, è probabile che esistesse un vizio occulto non individuabile e in grado di provocare il crollo a prescindere da controlli e manutenzione. Da qui la richiesta di una integrazione della perizia, che dovrebbe fare luce su questo aspetto.

Ponte Morandi, giustizia lontana

Ovviamente, se i giudici dovessero decidere di ordinare nuovi accertamenti, questo richiederebbe ulteriore tempo. Alcuni tra i reati contestati potrebbero andare in prescrizione, come è già accaduto per le contestazioni di omissioni di atti di ufficio, che hanno iniziato a prescriversi nell’ottobre del 2023.

In mancanza di una sentenza, il 14 febbraio 2026 si estingueranno i reati di omicidio colposo stradale, ma la decisione dei giudici, qualora venga disposta l’integrazione della perizia, potrebbe arrivare solo alla fine del 2026.