Dopo tre anni dall’omicidio di Saman Abbas a Novellara, nella notte tra il 30 aprile e il 1° maggio del 2021, arrivano le motivazioni dei giudici della Corte d’Assise di Reggio Emilia, che a dicembre 2023 ha condannato all’ergastolo il padre e la madre (ancora latitante in Pakistan), e a 16 anni lo zio. Assolti invece i cugini.

Le motivazioni della sentenza

In base alle motivazioni, Saman non è stata uccisa per il no alle nozze combinate e non si esclude che ad ammazzarla sia stata la madre. «Se vi è un dato che l’istruttoria e la dialettica processuale – le uniche deputate a farlo – hanno consentito di chiarire è che Saman Abbas non è stata uccisa per essersi opposta ad un matrimonio combinato/forzato». Così si esprime la Corte di assise di Reggio Emilia, nella motivazione della sentenza, specificando che questo «è un elemento che nulla toglie e nulla aggiunge alla gravità del fatto, ma che corrisponde ad una verità che la Corte è tenuta a rilevare».

Perché Saman è stata uccisa: voleva fuggire

Secondo i giudici, dietro l’omicidio di Saman Abbas ci sarebbe stata la contrarietà della famiglia allo stile di vita scelto dalla ragazza. La 18enne avrebbe voluto continuare la relazione con il fidanzato Saqib, come dimostrano le videoregistrazioni effettuate dal fratello Haider, diventate cruciali. I giudici scrivono che il delitto sarebbe da «ancorare, anziché a una serie indeterminata di eventi, come sostenuto dall’accusa, all’epilogo ultimo della vicenda, consumatosi la sera del 30 aprile, quando i genitori, a causa delle videoregistrazioni delle chat effettuate da Haider, scopriranno che è ancora in corso la relazione con Saqib e che la figlia sta progettando di fuggire nuovamente, scoperta che poi condurrà alla discussione finale con Saman».

La decisione di ucciderla: non ci fu premeditazione

La Corte di Assise quindi esclude la premeditazione come aggravante dell’omicidio. I giudici evidenziano i contatti telefonici dei genitori proprio con lo zio, la sera del 30 aprile e citano una intercettazione del fratello che, discutendo con la madre, disse: «Mandate lo zio, mandate lo zio e ditelo di farmi fuori, così sarete felici, giusto?». Affermazione che, per i giudici «conferma che la decisione sia stata assunta quella sera, nel corso delle telefonate citate e in modo del tutto estemporaneo». I giudici smontano uno ad uno altri elementi a sostegno della premeditazione. Il fratello, che parlò di una riunione tra parenti per fare i piani per assassinare Saman è ritenuto inattendibile. Il video del 29 aprile, quello dove si vedono zio e cugini con alcuni strumenti in mano (per l’accusa intenti ad andare a scavare la fossa), secondo la Corte non è una prova anzi ci sarebbero elementi per confermare che stessero andando a fare qualche attività per il loro datore di lavoro.

Il ruolo della madre nell’uccisione di Saman

Nel ricostruire la dinamica dell’omicidio, i giudici scrivono che «gli imputati Abbas Shabbar e Shaheen Nazia», padre e madre della 18enne, avevano «letteralmente accompagnato la figlia a morire» e non «si esclude che sia stata» proprio sua madre «l’esecutrice materiale». L’omicidio è stato deciso nel corso della telefonata tra lo zio Danish Hasnain e i genitori di Saman Abbas, come dimostrerebbe il comportamento dei due nei video delle telecamere dell’azienda agricola la notte del 30 aprile. «Può dirsi indiziariamente accertata la comune volontà degli imputati di commettere l’omicidio della loro stessa figlia, la presenza di entrambi sul luogo del delitto, e il comprovato apporto fornito alla realizzazione dell’evento».

Le telecamere inchiodano la madre

Sarebbero poi «eloquenti ed espressivi» i comportamenti e il contegno dei due, ripresi dalle telecamere. La madre, in modo fermo e determinato, bloccando con un gesto risoluto il marito, si inoltra sulla carraia con Saman «per quel minuto che non consente di escludere sia stata lei l’esecutrice materiale». Il marito, che «si mostra tormentato, assumendo atteggiamenti che danno conto della drammaticità di ciò che sta accadendo, ma che lui resta ad osservare, senza far nulla». Confermando così «la sua adesione psicologica piena al fatto».