La gran parte dei comportamenti antisociali e violenti sono compiuti da uomini. Lo dicono le statistiche. I dati dell’Istat evidenziano che gli uomini in Italia rappresentano una percentuale significativa degli autori di reati, delle persone condannate e degli imputati per vari tipi di crimini, tra cui omicidi, stupri, incidenti stradali mortali, rissa, evasione fiscale e spaccio. Se questa attitudine al “machismo” malato potesse interrompersi ne guadagnerebbe il tessuto sociale in termini di benessere, ma non solo: i conti economici del nostro Paese migliorerebbero sensibilmente. Lo evidenziano le economiste Ginevra Bersani Franceschetti e Lucile Peytavin nel libro “Il Costo della Virilità”, pubblicato da Pensiero Scientifico.
La maggior parte dei reati sono commessi da uomini
Le due studiose conducono un’analisi approfondita dei costi che lo Stato deve sostenere a causa dei comportamenti antisociali, che per la maggior parte sono messi in atto dagli uomini. Bastano pochi dati per rendersi conto di questo. Nel 2018, secondo l’Istat, i maschi sono stati l’82,41% dei 500mila autori di reati per i quali è stata aperta una procedura penale nel corso di un anno, l’85,1% delle persone condannate dalla giustizia, il 92% degli imputati per omicidio, il 98,7% degli autori di stupri, l’83,1% degli autori di incidenti stradali mortali, l’87% dei responsabili di abusi su minori e il 93,6% degli imputati per pornografia minorile. Sono il 95,5% della popolazione mafiosa, l’87,5% degli imputati per rissa e il 76,1% per furto, sono il 91,7% degli evasori fiscali e l’89,5% degli usurai, il 93,4% degli spacciatori e il 95,7% della popolazione carceraria.
Il “costo della virilità” per la nostra società
A fronte di questi reati lo Stato mette in campo forze dell’ordine, servizi sanitari, giudiziari, penitenziari, che incidono sull’economia italiana con un costo di 98,78 miliardi l’anno (il 5% del Pil italiano del 2019). Secondo una stima, gli uomini violenti costano alla popolazione italiana, almeno 1.700 euro a persona e all’anno. Le autrici propongono a tal proposito il concetto del “costo della virilità”, che consiste nella differenza finanziaria tra la spesa necessaria per affrontare il comportamento antisociale attribuibile agli uomini rispetto a quello delle donne. Questo calcolo rappresenta la potenziale somma risparmiata dalla società se gli uomini adottassero comportamenti più in linea con quelli delle donne.
Spazio a un’educazione che contrasti il “machismo”
Le autrici sottolineano che, nonostante la rilevanza del tema, la questione del costo sociale della virilità non è sufficientemente al centro del dibattito pubblico e che solo attraverso un’educazione profondamente egualitaria è possibile affrontare e risolvere efficacemente il problema. La presenza di comportamenti violenti simili anche nelle donne dimostra che tali condotte non sono determinate dal genere, ma piuttosto dall’educazione. Si conclude sottolineando l’importanza di un cambiamento culturale per superare i modelli e i valori che perpetuano la virilità dannosa, evidenziando che il “costo della virilità” non deve essere considerato una fatalità, ma piuttosto un invito all’azione e al progressivo cambiamento di quei valori patriarcali che oltre perpetuare la disparità fra i generi contribuisce ad affossare, come dimostrato, anche la nostra economia.