Un altro nomignolo per raccontare, edulcorandola, una vicenda che è solo e profondamente squallida. Un nomignolo – Squad girls – di cui si sono subito appropriati i giornali e che fa sembrare quello che è accaduto una storia di avventure e complicità al femminile: protagonista un team di ragazze che mangiano la pizza su un letto di hotel come in gita scolastica, affiatate, simpatiche e combina guai.
Le Squad girls sono le vittime
Ma di simpatico non c’è nulla e soprattutto le ragazze, più che combina guai, sono vittime ancora una volta di un’altra squadra, quella sì, di altre donne e pure uomini, che le hanno usate sessualmente. La vicenda si snoda tra le province di Bari, Andria, Barletta, Trani, con ramificazioni fino a Roma e Milano e il nomignolo l’hanno dato le quattro donne arrestate per sfruttamento della prostituzione. Minorile. Le giovani avevano ai momento dei fatti tra i 14 e i 16 anni, le quattro donne – vere e proprie manager, come dice il gip, che nell’inchiesta parla di “modalità imprenditoriali raffinate” – dai 21 ai 35. Nel gruppo anche due uomini, di cui uno figlio di un poliziotto. Sarebbe stato lui ad aver minacciato una delle ragazze di pubblicare foto di un incontro sessuale per convincerla a prostituirsi.
Vestiti e borse: la lettura superficiale delle Squad girls
I titoli dei giornali e dei siti, però, come nel caso dei Parioli che ha ispirato lo spettacolo teatrale Tutto quello che volevo e la serie tv Baby, si concentrano ancora una volta sulle ragazze – “baby squillo”, “baby prostitute “e “squad girls” – e poco sui clienti e sul problema. «Il problema è che a 16 anni non hai strumenti psicoemotivi che ti possano aiutare a valutare la portata delle tue azioni» commenta l’attrice e attivista Cinzia Spanò, autrice e protagonista dello spettacolo Tutto quello che volevo. «Leggo con molto fastidio i dettagli sui vestiti e sulle borse, tutti particolari che contribuiscono a dare una visione delle ragazze molto superficiale. Spendevano così i soldi, ma cosa ci aspettiamo che facciano delle ragazze di 15-16 anni? Sarebbe invece più importante capire quali sono gli stereotipi che portano allo sfruttamento del corpo femminile e in particolare delle giovanissime, sfruttamento sempre gestito da persone adulte e senza scrupoli, compresi i clienti».
La vittimizzazione secondaria delle ragazze
Ancora una volta, la lettura dei media continua a concentrarsi sulle ragazze invece che sugli adulti che le hanno sfruttate, come sottolinea anche la giudice Paola Di Nicola Travaglini, consigliera della Corte di Cassazione, consulente giuridica della Commissione sul femminicidio e su ogni forma di violenza di genere del Senato e autrice di diversi libri, tra cui La giudice. «Il nostro sguardo non coglie che sono le ragazze le uniche e vere vittime di questa storia. La nostra continua a essere una lettura non giuridica, ma sociale e culturale, ed è una lettura di colpevolizzazione. Denaro, spregiudicatezza e leggerezza sono le chiavi con cui leggiamo questa vicenda, che resta circoscritta alle ragazze. Perché Giulia Cecchettin è per tutti una vittima e invece queste giovanissime no? In modo, ovviamente assai diverso, sono vittime di uno stesso sistema discriminatorio contro le donne che distrugge la loro vita, la loro libertà e i loro corpi».
Chi sono le quattro sfruttatrici?
La giudice è stata protagonista di una sentenza rivoluzionaria che chiuse una parte (piccola) della vicenda dei Parioli, condannando uno dei clienti di una ragazza minorenne a risarcirla, oltre che in denaro, in libri e film sulla storia delle donne, sul pensiero, la letteratura e la poesia al femminile. «Quando parliamo di ragazze minorenni che si prostituiscono, dobbiamo indagare il contesto in cui questo avviene, i rapporti familiari, le opportunità offerte a queste giovani. Nella vicenda dei Parioli, c’era una mamma che addirittura spingeva la figlia a prostituirsi. In questa di Bari, l’inchiesta sta portando alla luce minacce e botte da parte delle quattro donne per costringere le ragazze ad avere incontri con gli uomini». Addirittura una di loro sarebbe stata costretta a tirare dentro le amiche. Di questo dobbiamo parlare, non dei soldi che spendevano. Chi sono queste quattro donne? Loro sì, spregiudicate. Chi sono i clienti? Anche stavolta si parla di avvocati e professionisti, la “crema” della società pugliese. Anche stavolta patteggeranno e usciranno indenni da questa faccenda?
Tutto parte dalla denuncia di una mamma
Un pensiero per quella mamma pugliese che – come accadde ai Parioli – ha permesso l’avvio dell’inchiesta e gli arresti. Un pensiero per lei, intenta a fare gli screenshot delle storie su Instagram con le Squad girls , tra cui sua figlia, sedute su un letto a mangiare la pizza, come in gita scolastica. Un pensiero per tutte le mamme costrette, a volte, a fare i conti con una realtà molto più oscena delle nostre peggiori fantasie.