Chi chiederà scusa? Come si fa quando si rompono le cose. O le persone. Chi si prenderà la briga di ripulire da terra tutte le macerie e di mettere a posto? Di dire che ha sbagliato, che si poteva evitare. Chi si assumerà la responsabilità di non dimenticare? Di impedire alla Storia, quella scritta da pochi per tutti, di travolgere e fagocitare le piccole storie quotidiane e marginali, fatte di facce e di persone, di gente comune lasciata sola a masticare un destino incompiuto e senza gloria, fermato un giorno qualsiasi, in un minuto preciso. Strappato, come una smagliatura. Un buco nella memoria collettiva. Nessuno. Non lo farà nessuno.
Strage di Gorla: cosa successe il 20 ottobre 1944
Per questo è così prezioso il documentario di Mario Calabresi e Silvia Nucini, Finché sono al mondo, diretto da Luca Quagliato. Un piccolo importante tributo per una tragedia rimossa dai libri di scuola, ma rimasta intatta nei cuori di chi c’era: la strage di Gorla. Nell’ottobre del 1944 una bomba venne sganciata per errore dagli alleati americani sopra la scuola elementare Francesco Crispi, a nord di Milano. Si infilò nella tromba delle scale e deflagrò, uccidendo 184 bambini e 20 tra docenti e personale scolastico. A raccontarla, oggi, sette testimoni ultraottantenni, che hanno conservato il ricordo di quel giorno come fosse ieri. Cinque, ora che il documentario è approdato in tv (si può trovare su RaiPlay) diventando patrimonio di tutti. Giuliano Lazzaroni e Sergio Francescatti sono sopravvissuti al dolore ma non alla vecchiaia.
Però hanno fatto in tempo a condividere il loro pezzo di memoria, dopo averla accudita per anni, incontrandosi e parlandone con gli altri, affinché il silenzio non inghiottisse per sempre quel lutto di un intero quartiere
Che un monumento in piazza Piccoli Martiri ha strappato all’oblio, grazie alla tigna e all’amore di chi è rimasto in vita. Genitori, amici, sorelle, fratelli, vicini di casa, uniti dal senso di colpa per essere scampati a quella disgrazia assurda e involontaria. Per cui una sola persona ha chiesto scusa. Un professore di storia americano, andato di sua iniziativa ad abbracciare i parenti in segno di rispetto e di perdono, a nome del suo Paese smemorato.
Ottant’anni dopo la strage di Gorla
Tra i testimoni, c’è chi ricorda cosa spiegava la maestra quel mattino, chi sfogliando i quaderni ancora si commuove. Come se la vita si fosse congelata quel 20 ottobre di 80 anni fa, per aspettare ancora e per sempre le voci e i sogni di quei bambini a cui non è stato concesso di crescere. Rimasti piccoli dentro ai pensieri della gente, nei brutti sogni che si ripetono di notte, nelle ferite che non si rimarginano. Non c’è disinfettante contro le morti inspiegabili. Soprattutto quando vengono taciute.
Gaza e Ucraina, le guerre di oggi
Un’ingiustizia che si ripete, con identica gratuità, in tutte le guerre di oggi. Combattute mandando avanti gli altri. Senza nessuna pietà per le vittime più fragili e innocenti. Dei 14.000 bambini uccisi a Gaza dal 7 ottobre scorso a oggi non conosciamo il nome né il volto. Dei 21.000 dispersi o detenuti, finiti sotto le macerie e nelle fosse comuni abbiamo solo i numeri rilasciati dal ministero della Sanità e dalle organizzazioni umanitarie. Di tutti i minori sfollati, separati dalle famiglie, rimasti soli neppure quello. Non ci sono dati. Altrettanto drammatica la situazione in Ucraina, dove i bambini uccisi o feriti in 2 anni di conflitto sono circa 2.000, ma molti di più sono quelli che hanno lasciato la scuola e le loro abitazioni, vivendo in un continuo stato di allerta.
Chi chiede scusa per la guerra?
La guerra non è solo quella delle case sventrate e dei colpi d’arma da fuoco, è anche il tormento della normalità negata, dell’ansia perenne, degli incubi e dei traumi che cambiano per sempre la psiche e le sorti delle persone. È la paura con cui ci si alza al mattino, il senso di perdita con cui si convive ogni secondo, la fatica quotidiana con cui si sopporta il freddo, la fame, la sofferenza senza cura del corpo e dello spirito, l’anestesia del cuore con cui si va avanti un centimetro alla volta morendo lentamente mentre si continua a respirare. Di questo nessuno chiede scusa. E anche quando la guerra finirà, per alcuni il suo riverbero resterà per sempre.