Basta guardare una violenza per esserne partecipi. E lo sei ancora di più se si tratta di uno stupro di gruppo. Alcuni dei sette giovani che avrebbero violentato a Catania la ragazzina (o, meglio, bambina) di 13 anni, tentano di sfilarsi: «Noi non abbiamo fatto nulla di grave, stavamo solo guardando» hanno detto al giudice per le indagini preliminari, come riferisce La Repubblica.

Stupro di gruppo: guardare rende colpevoli

Quindi se si assiste a una violenza di gruppo senza agirla, vuol dire essere innocenti? Vuol dire che i ragazzi che si sono arrampicati alle pareti dei bagni pubblici per guardare e – pare – filmare lo stupro, non sarebbero colpevoli come gli altri? La procuratrice Letizia Mannella, magistrata a capo del pool antiviolenza della procura di MIlano, intervistata da Radio 24 chiarisce: «Per essere accusati di violenza di gruppo non vuol dire averla esercitata nei fatti: anche solo guardare è prenderne parte. La Cassazione è sempre costante nelle sue sentenze: basta anche la semplice partecipazione perché il reato sussista. Il fatto di essere lì e guardare significa rafforzare il proposito criminoso di chi attua la violenza: anche solo essere presenti vuol dire partecipare. E il reato di violenza di gruppo è più grave della violenza sessuale».

Non serve incitare per essere accusati di stupro di gruppo

Non serve incitare per essere accusati di violenza di gruppo. «Solo stare a guardare – dice la Cassazione – vuol dire incitare. E trovarsi nel gruppo rappresenta un’aggravante. Com’è accaduto nel caso di Catania, in genere il capobranco è maggiorenne ed è lui a trascinare con sé i minorenni: le competenze sono della Procura dei minori e Procura ordinaria, e le indagini sono le stesse».

Filmare è un’aggravante ma anche la motivazione a delinquere

Mentre le indagini vanno avanti, spunta un video con cui la ragazzina sarebbe stata ricattata, e altri video realizzati dai ragazzi partecipi dello stupro. Filmare con il cellulare rappresenta un’aggravante, ma molto spesso anche la motivazione a commettere la violenza. «La nostra esperienza – dice la procuratrice – ci insegna che se non si potesse filmare spesso non ci sarebbe la motivazione ad agire il delitto. I ragazzini molto spesso filmano tutto per poi mostrarlo agli amici, come se fosse uno scalpo: c’ero anche io, l’ho fatto anch’io. Colpisce ancora di più quindi l’ingenuità dei ragazzi: trovare i video rende molto più semplice le indagini».

Chi guarda e va oltre, è colpevole?

Essere presenti è diverso da chi assiste per caso a una violenza e non interviene. «Vedere e passare oltre non è come partecipare: può capitare di assistere a una violenza ma di non averne la percezione e quindi passare oltre. In questo caso non si tratta di omissione di soccorso a meno che la vittima non sia inerme, ma comunque si tratta pur sempre di un atto di inciviltà. Non siamo tenuti a intervenire per proteggere o salvare qualcuno, ma certo sarebbe auspicabile per il senso di umanità che ci contraddistingue come persone».

Stranieri o italiani, sempre stupro di gruppo è

Il fatto che a commettere la violenza siano stati ragazzi stranieri, non cambia la sostanza. «Il problema è sempre culturale, da qualsiasi società si provenga. Se gli uomini fossero maggiormente educati a riconoscere i diritti degli altri – della donna in primis – e a rispettarli, queste violenza non si verificherebbero. Certo in alcune culture il percorso di educazione è più difficile, ma il punto di partenza è sempre lo stesso: educare i giovani al rispetto».

La pornografia crea un’abitudine psicologica alla violenza

La pornografia non aiuta. «Nei video pornografici a cui i giovani hanno facile accesso si reitera lo schema della donna oggetto, dove non conta la seduzione ma il possesso. E copioni simili funzionano da stimolo alle violenze di questo tipo. La pornografia crea un’abitudine psicologica alla violenza: tutti noi siamo abitudinari quindi riteniamo spontaneo ciò che invece rappresenta una consuetudine. L’uso della violenza in pornografia quindi fa sì che sia più facile liberare questi istinti e offre una rappresentazione molto simile a ciò che viene poi agito. Negli stupri dunque non c’è niente di erotico ma solo un gesto di supremazia e potere, tant’è che in guerra le donne vengono stuprate come estremo gesto di umiliazione verso il nemico».