Il terremoto che sconvolse il Centro Italia 7 anni fa
Noi donne siamo così: tenaci, testarde, ostinate. Il verbo “mollare” non fa parte del nostro vocabolario, anche quando tutto ci crolla addosso. Nel vero senso della parola. Come è successo 7 anni fa, nella notte del 24 agosto del 2016, quando alle ore 3.36 una fortissima scossa di terremoto di magnitudo 6, con epicentro nel comune di Accumoli, in provincia di Rieti, diede inizio a quella che viene chiamata la sequenza sismica Amatrice-Norcia-Visso, che interessò tutta l’Italia centrale, per diversi mesi, fino al gennaio del 2017. I numeri che testimoniano quel disastro sono spaventosi: quattro le Regioni maggiormente coinvolte, Abruzzo, Marche, Umbria e Lazio nei territori della Valle del Tronto e dei Monti Sibillini, 138 i Comuni colpiti, oltre 300 i morti, 65.000 gli sfollati, quasi 24 miliardi di euro i danni complessivi, come certificato dalla Protezione civile all’Unione europea.
La rinascita dopo il terremoto è donna
Numeri che raccontano un territorio ferito e che metterebbero in ginocchio chiunque. Ma non noi donne. Come in tutte le situazioni impossibili, non ci arrendiamo. Perché «anche in un dramma come il terremoto, quando tutto intorno a te è maceria, è possibile intravedere piste di futuro». A dirlo è Sonia Girolami, 48 anni, di Torricchio, una frazione del Comune di Pieve Torina, sul versante marchigiano dell’Appennino. La sua è una delle storie che raccontiamo in queste pagine: vite di donne che, nonostante abitino in un territorio che fatica a rialzarsi, tra le lungaggini di una ricostruzione lenta e l’incubo dello spopolamento, si sono rimboccate le maniche e sono diventate protagoniste di un’imprenditoria fiorente che rinasce nel nome della tradizione.
La storia di Sonia, allevatrice di Torricchio
torniamo a Sonia e a quella «pista di futuro» che ha deciso di seguire. Insieme a sua sorella Stefania, circa 20 anni fa, rileva l’attività dei genitori, un’azienda agricola che alleva bovini da carne. Visto che nel 1997 un terremoto aveva distrutto la vecchia stalla di legno, Sonia decide di fare un investimento e di costruirne una antisimica. «In un momento difficile bisogna sapersi adattare e rilanciare» racconta. E lei, con sua sorella, in questi anni continua a rilanciare e a scommettere sul futuro a volte così ingrato. Tanto che in quella nuova stalla, pulita, ordinata, biologica al 100%, che neanche con le scosse del 2016 è crollata, adesso ci sono ben 130 bovini. Sonia li chiama tutti per nome e ogni mattina, alle 7 in punto, va ad accudirli. «Il nostro paese è tuttora inagibile. L’unica casa che si è salvata dal terremoto è la nostra. Quello che ci manca di più, da allora, è non vedere la gente, le finestre aperte, le luci accese, anche se poche (d’inverno a Torricchio vivono non più di 12 persone, d’estate si arrivava anche a 100, ndr)». Mentre racconta, si commuove. Non tanto per il ricordo di quei momenti terribili – «La scossa di ottobre è stata violentissima. Sembrava di essere in guerra per i boati e la polvere delle case che cadevano» – ma per il dispiacere davanti al suo paese vuoto, abbandonato. Per fortuna, a seguire le orme di Sonia e sua sorella adesso ci sono anche la figlia Marina e la nipote Elisa: cresciute nella stalla, fin da quando erano ancora sul passeggino, e poi sui trattori, oggi per amore del lavoro di allevatore e della loro terra, hanno deciso di rimanervi aggrappate. Per nessun motivo l’abbandonerebbero.
La storia di Rossella e Linda, ristoratrici di Ussita
A non voler lasciare le loro montagne sono anche Rossella Orazi, 57 anni e Linda Cappa, 26, mamma e figlia, proprietarie del ristorante La mezza luna a Ussita, in provincia di Macerata. «Dal dolore nasce la forza» dice Linda, mentre finisce di asciugare i bicchieri. Quella forza che ti aiuta ad andare avanti e a ricominciare tutto daccapo. Un’immagine che, più di altre, fa pensare alla ricostruzione. A nuovi muri e a nuovi tetti. Proprio come quelli che pian piano hanno dovuto ricostruire nel loro locale, che però, nell’agosto del 2016, non è rimasto chiuso neanche un giorno. «Dopo il terremoto siamo diventati un luogo di ritrovo e di accoglienza, una mensa per i Vigili del fuoco e la Protezione civile» raccontano. «Eravamo sfinite, ogni giorno servivamo almeno 3-400 pasti e di sera il ristorante si trasformava in un accampamento per chi voleva dormire qualche ora sui lettini da campo o anche solo farsi una doccia». A ottobre 2016, dopo l’ennesima scossa, il ristorante deve rimanere chiuso qualche mese. E Rossella è tentata di non riaprirlo più: troppa fatica, troppo dispiacere. Ma poi decide di non arrendersi, di riprovarci ancora una volta. Per fortuna. Perché in quel ristorante c’è tutta la sua vita, ci sono quattro generazioni di donne. E perché ancora oggi i Vigili del fuoco di altri paesi vengono a trovarla e a mangiare i suoi squisiti cappellacci, la pasta tipica di questa zona, grandi ravioli ripieni di ricotta e ciauscolo, un salame spalmabile.
La storia di Silvia, intrecciatrice di Urbisaglia
L’audacia che hanno avuto Rossella e Linda ce l’ha anche chi non ha vissuto in prima persona il sisma, perché all’epoca abitava altrove, ma comunque ha deciso di trasferirsi nelle zone terremotate per aprire un’attività imprenditoriale. Rischio? Azzardo? Forse sì. A noi piace definirlo coraggio. Stiamo parlando di Silvia Ballini, 45 anni, di Pollenza: più di 3 anni fa va a vivere a Urbisaglia, in provincia di Macerata, e ad Abbadia di Fiastra, una magnifica riserva naturale, apre la sua bottega di intrecci. Un piccolo laboratorio lungo le mura, pieno di fili, rocche colorate, forme di legno, prototipi di accessori di moda ma anche pouf e paralumi. «Prima facevo la contadina con i ragazzi disabili. Adesso sono una tessitrice a mano e intrecciatrice. Ho imparato quest’arte antica circa 10 anni fa, nel 2014, quando a Mogliano, la patria dell’intreccio, ho fatto un corso con gli artigiani» racconta mentre lavora una borsa di un famoso brand di moda. Silvia ha iniziato con il cuoio, poi è passata al midollino. «Un materiale più capriccioso, più rigido, va idratato perché non si spezzi, ma comunque bello, sinuoso». Il suo tessuto preferito? Il filato di cotone, che intreccia come il macramè. «È femminile, mutevole, morbido, gioia per i miei polpastrelli» ride, accarezzandosi le dita. E se le chiedi perché ha deciso di fare questo lavoro, risponde: «È un mestiere che dona pazienza, devi fare tanti tentativi e poi spesso “sfascià”, rifare cioè. Ma regala anche fantasia e voglia di mettersi in gioco». Proprio quella che l’ha portata a trasferirsi a Urbisaglia e a scommettere, con successo, su questo mestiere antico.
A che punto siamo a 7 anni dal terremoto?
La ricostruzione non è solo una scelta urbanistica. Riguarda qualcosa di intangibile ma molto importante, ovvero la memoria dei paesi, la possibilità di mantenere la rete di relazioni che li costituisce, la capacità di rigenerarne l’identità. Per capire a che punto siamo dopo 7 anni dal terremoto che ha danneggiato più di 80.000 edifici, abbiamo chiesto a Guido Castelli, Commissario alla Riparazione e Ricostruzione Sisma 2016, di fare il punto: «Nel cratere sismico, che comprende 138 Comuni in 4 Regioni, c’è ancora molto da fare ma stiamo lavorando senza sosta per passare dalla fase delle norme a quella operativa dei cantieri. A oggi si registrano 17.000 interventi avviati, 9.000 conclusi. Il dato più positivo è che le imprese, anche grazie agli interventi di semplificazione che abbiamo messo in atto con il governo, hanno ricominciato a operare a ritmo sostenuto con oltre 100 milioni di euro liquidati ogni mese e un incremento del 20% sul primo semestre del 2023 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente».