Donald Trump è il nuovo Presidente degli Stati Uniti, il 47esimo, dopo esserne stato il 45esimo. Anche se l’investitura ufficiale avverrà solo il 21 gennaio, con l’insediamento alla Casa Bianca, il risultato elettorale è stato chiaro e netto. Kamala Harris ha perso. Accolto con sorpresa, soprattutto in Europa, negli Usa era nell’aria una sua vittoria. Ora ci si domanda cosa cambierà per il mondo e per gli americani, ma soprattutto per le donne. Il suo rapporto con il genere femminile (ma anche con il mondo LGBTQ+) è sempre stato “delicato”. In concomitanza con l’elezione presidenziale, inoltre, si è votato anche per l’aborto in una decina di Stati.

Non solo Trump: il voto sull’aborto

Nonostante in Italia ci si sia focalizzati sul risultato delle presidenziali, negli Usa si sono svolti anche i referendum sul diritto all’aborto. Il motivo è legato a un pronunciamento della Corte Suprema, che nel 2022 ha stabilito che Costituzione degli Stati Uniti non garantisce il diritto all’interruzione di gravidanza. Si tratta, piuttosto, di un tema di pertinenza statale: insomma, ogni Stato legifera in modo autonomo. Due le questioni sulle quali si sono pronunciati molti cittadini americani: da un lato la proposta di inserire l’accesso all’aborto tra i diritti costituzionali; dall’altro (in modo speculare) una stretta nel ricorso alla pratica, che è stato uno dei temi più divisivi della stessa campagna elettorale, con Trump schierato al fianco dei Pro Life. Diversi, però, i quesiti nei diversi stati.

Cosa ha scelto l’America in tema di aborto

In alcuni Stati, come Arizona, Nevada, Colorado, Missouri, Montana, Maryland e New York, gli elettori hanno chiesto di inserire il diritto all’aborto nella Costituzione, mentre in altri tre (Nebraska, South Dakota e Florida) ha vinto il fronte del “no”. Si tratta, in quest’ultimo caso, di uno Stato repubblicano e conservatore. In Florida, infatti, la legislazione è molto rigida e permette l’interruzione di gravidanza solo entro le prime 6 settimane, mentre il quesito referendario avrebbe esteso questo periodo. Non essendo stata raggiunta la maggioranza richiesta per la modifica della legge (almeno il 60%), il movimento Pro Life ha esultato, parlando di «vittoria epocale» tramite la portavoce Marjorie Dannenfelser. Delusione, invece, da parte di Anna Hochkammer, direttrice della Florida Women’s Freedom Coalition, pro-aborto.

Flop dei referendum sull’aborto

In generale, però, a vincere è stato l’astensionismo: in South Dakota, infatti, si è recato alle urne solo il 39% degli aventi diritto, per chiedere o meno una estensione del diritto all’aborto, mentre in Nebraska il referendum costituzionale è stato bocciato. In compenso un secondo quesito, che proponeva una conferma dell’attuale limite delle 12 settimane per il ricorso all’interruzione di gravidanza, è stato approvato, mantenendo la deroga per i casi di stupro, incesto e rischio di vita per la madre.

Cosa chiedono le donne americane in tema di aborto

«Quello che andrebbe sottolineato è che i referendum sono passati laddove non era richiesta una maggioranza qualificata. Ma soprattutto l’esito delle consultazioni ci dice che non necessariamente i pro aborto votano anche per i democratici», spiega Federico Petroni, analista di Limes e curatore della rubrica Fiamme americane. «Significa che in alcuni stati gli elettori hanno votato Trump, ma hanno anche barrato la casella pro aborto». Ma cosa accadrà adesso alle donne che vorrebbero interrompere la gravidanza? Come saranno garantiti i loro diritti?

Le donne e l’aborto con Trump

«Nonostante sia stato uno dei temi più accesi della campagna elettorale, va chiarito che Donald Trump ha sempre detto che non emetterà nessun divieto di tipo nazionale, quindi federale, all’aborto – spiega ancora Petroni – È un impegno molto forte quello preso dal prossimo Presidente, che non credo porterà a una marcia indietro. L’effetto sarà che in questo ambito la responsabilità e la scelta di garantire il diritto all’aborto, insieme alle specifiche modalità, saranno lasciati ai singoli Stati. Questo ci racconta di un’America che ha rinunciato a uno stile di vita omogeneo: ciascuno si organizzerà in modo autonomo. È una dinamica centrifuga, pensata per allentare le tensioni a livello territoriale, ma che rischia di sfilacciare la già eterogenea società statunitense».

Il voto delle donne: a chi è andato?

Un altro aspetto che emerge, all’indomani dell’election day, è per chi hanno votato le donne. Sfumata la possibilità di avere un primo Presidente donna, ci si chiede se gli appelli all’elettorato femminile lanciati da Kamala Harris abbiano avuto effetto. «Il dato che colpisce è proprio che Trump non ha mai ottenuto un così ampio consenso da parte di ispanici, neri e giovani. Le donne hanno votato più per Kamala Harris, ma meno rispetto alle aspettative», osserva Petroni. Harris, dunque, non è riuscita a convincere fino in fondo le donne, quelle stesse a cui l’attrice Julia Roberts si era rivolta negli ultimi giorni di campagna elettorale, esortando (in particolare quelle repubblicane) a «tradire i mariti nel segreto delle urne», votando democratico.

Le donne ai comizi: da Lady Gaga a JLo

Eppure la vicepresidente aveva ricevuto l’endorsment di moltissime donne, in particolare star del mondo del cinema e della musica: Lady Gaga, intervenuta sul palco dell’ultimo comizio di Harris insieme, tra l’altro, a Ricky Martin; Jennifer Lopez, che ha difeso i portoricani dopo l’attacco di Trump; Gwyneth Paltrow, Lizzo e Selena Gomez, ma anche Beyoncé (che ha concesso di utilizzare la sua canzone Freedom in un video della campagna elettorale dem), Barbra Streisand, Jane Fonda, Cynthia Nixon di Sex in the City, Katy Perry, Billie Eilish, Kelly Rowland, Jessica Alba, Whoopi Goldberg, Jennifer Aniston, Jennifer Lawrence e Anne Hathaway.

Trump e l’assenza di Ivanka e Melania

A far sentire la propria assenza, invece, sono state proprio due delle donne più vicine a “The Donald”: la figlia maggiore (e sua fedele sostenitrice da sempre) Ivanka e la moglie Melania, pressoché assente durante tutta la campagna elettorale. Lei che viene ricordata per la sua “discrezione” nei panni di First Lady, in un ruolo che probabilmente tornerà a ricoprire con lo stesso stile sobrio ora che il marito tornerà alla Casa Bianca, lo ha affiancato solo negli ultimi due comizi e in occasione del discorso post vittoria elettorale, insieme al resto della famiglia. A ben vedere, però, un intervento lo aveva fatto nelle scorse settimane ed era a sostegno del diritto all’aborto delle donne.

Cosa accadrà alle politiche di genere?

Il vero interrogativo è cosa accadrà alle cosiddette “politiche di genere”, DEI policy (Diversity, Equality and Inclusion) avviate negli ultimi anni. Da tempo e fin da prima che la campagna elettorale entrasse nel vivo, negli Usa si sta assistendo a una inversione di tendenza. Grandi marchi come Nike, Amazon, Meta e Google hanno optato per ridurre i programmi di inclusione “a tutti i costi”, mentre Jack Daniel’s ha fatto dietrofront per evitare il boicottaggio del proprio marchio. Tra gli ultimi in ordine di tempo a fermare le DEI c’è stata Harley Davidson, mentre i maggiori esponenti del movimento “anti Woke” c’è Elon Musk.

Stop con Trump al movimento Woke e di genere

Secondo il patron di Tesla e X, il fatto di aver «completamente abbracciato l’ideologia Woke e politicamente corretta», definita «divisiva, escludente e odiosa» e che «offre alle persone cattive uno scudo per essere meschine e crudeli, mascherate dietro una falsa virtù», sarebbe controproducente a livello economico. Il riferimento è all’ideologia di chi vuole “stare allerta” (dall’inglese Woke, letteralmente “sveglio”) di fronte a ingiustizie sociali, discriminazioni razziali o di genere. La parola è entrata nel gergo comune negli Stati Uniti soprattutto con la nascita del Black Lives Matter Movement nel 2017, quando è stata sdoganata anche dall’Oxford English Dictionary. Col passare degli anni, però, all’ideologia Woke si è affiancata anche quella anti-Woke, in crescita. Ecco che Musk, tra i principali sostenitori (anche economici) di Trump l’aveva definita «la più grande minaccia alla civiltà moderna».

Ritorno a “Dio, famiglia e Patria”

A prescindere dalle dichiarazioni eclatanti, sono gli elettori repubblicani che spiegano oggi la loro soddisfazione: «Siamo felici, è un ritorno alle basi: Dio, famiglia e Patria», commenta Lisa, dalla Florida. Accanto a lei c’è il marito che conferma: «Ispanici, neri, donne: non importa. Sono americani che non hanno votato Harris, perché i democratici si sono dimenticati di loro – dice Marc – Problemi economici, immigrazione illegale, nessuna distinzione tra uomini e donne nello sport, criminalità, ecc. Penso che tutto ciò dovrà finire dopo un lungo periodo di non sense».

Il peso del “sessismo” di Trump

Le elezioni appena concluse hanno comunque avuto una portata storica: avrebbero potuto portare al primo Presidente donna, oppure a un Presidente già condannato e con diversi processi a suo carico. Di sicuro è ritenuto sessista, misogino e machista. Ancora a fine agosto ha attaccato Kamala Harris, alla convention dei giornalisti afroamericani a Chicago, accusandola di essere “diventata nera” per ragioni elettorali. «Io rispetto entrambe le culture ma apparentemente lei no, visto che è sempre stata indiana e poi ha deciso di diventare afroamericana», disse. Eppure le urne lo hanno premiato. Nel suo primo discorso da futuro nuovo inquilino della Casa Bianca si è detto «Presidente di tutti», uomini e donne. Non resta che attendere.