Cresce l’apprensione per il Vesuvio nella zona dei Campi Flegrei, dopo le recenti scosse di terremoto. L’attenzione è tale che la scorsa settimana si è tenuto un vertice a Roma tra i sindaci di Napoli e dei Campi Flegrei, e il ministro per la Protezione Civile, Nello Musumeci. In tutta la zona, infatti, da mesi sono aumentati gli sciami sismici, mentre solo pochi giorni fa, il 7 settembre, si è registrata la scossa più forte degli ultimi 40 anni con una magnitudo di 3,8. La domanda che si rincorre, soprattutto tra la popolazione, è quindi una: il Vesuvio (o Super vulcano, come viene chiamato) è a rischio eruzione?
Vesuvio, allerta innalzata: cosa sta accadendo?
Che la zona dei Campi Flegrei e del Vesuvio sia ad alto rischio sismico è noto, ma a preoccupare è quello che sta accadendo negli ultimi giorni. Gli esperti rassicurano, ma nello stesso tempo confermano che si è in presenza del fenomeno del bradisismo: «La situazione è ora stazionaria» come ci spiega Stefano Carlino, vulcanologo dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv, Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia. «Non c’è un rischio imminente di eruzione, ma allo stesso tempo stiamo osservando un sollevamento tipico dei Campi Flegrei, che è noto con il nome di bradisismo, accompagnato da terremoti»,
Il bradisismo della zona del Vesuvio: quali rischi per la popolazione?
Il bradisismo, che consiste proprio nel sollevamento e poi abbassamento del suolo, è un fenomeno di origine vulcanica presente in modo evidente proprio ai Campi Flegrei, in Campania. È chiamato anche “respiro vulcanico” ed è caratterizzato anche da sciami sismici frequenti. «Avviene spesso, anche senza eruzioni. Al momento non ci sono evidenze per cui si possa pensare a un pericolo imminente, ma la situazione va tenuta sotto controllo con un monitoraggio più attento» spiega il vulcanologo. Non per niente «si è passati da un livello di allerta base a uno di attenzione, che prevede un incremento dell’attività di monitoraggio in tutta l’area (in gergo si chiama “attenzione scientifica”)», conferma Carlino.
I precedenti: ci sono già state evacuazioni di massa?
A creare preoccupazione sono state alcune dichiarazioni di un altro vulcanologo dell’Ingv, Giuseppe Mastrolorenzo, rilasciate al Corriere della Sera, secondo il quale è «improbabile pensare di prevedere l’evento 72 ore prima», con riferimento a una possibile eruzione e dunque alla concreta possibilità di dover evacuare migliaia di persone in tempi rapidi. «È capitato diverse volte di dover evacuare la popolazione. Per esempio negli anni ’50, nel 1970 e nel 1984, quando si è assistito a tre fasi di sollevamento e due crisi bradisismiche. In particolare nelle ultime due si è dovuta evacuare Pozzuoli, la prima volta solo nell’area del centro storico, la seconda in tutta la città, interessando 60mila persone, a causa di numerosi terremoti che avevano reso pericolosa la permanenza», spiega Carlino.
Perché oggi è più complicato evacuare la zona?
Nel corso degli anni, però, la cementificazione è aumentata, si è costruito molto e il numero di abitanti è cresciuto. «Le operazioni adesso sarebbero sicuramente più complesse, in relazione al numero di abitanti da allontanare. Parliamo di 350mila persone nella sola area rossa, non è operazione semplice. Per questo, però, esistono dei piani che dovrebbero assicurare che le procedure siano effettuate nel miglior modo possibile. Da un punto di vista pratico tutto ciò comporta valutazioni molto accurate», conferma l’esperto.
Quanto tempo occorrerebbe per evacuare?
«La risposta è complessa, tutto dipende da come si potrebbe svolgere un’eventuale crisi vulcanica. Normalmente le rilevazioni consentono di capire il momento in cui il vulcano è in condizione critica, nei giorni precedenti a una possibile eruzione, quindi con un tempo sufficiente a procedere all’allontanamento degli abitanti dall’area flegrea – spiega Carlino – Ma è anche vero che un’evacuazione oggi richiederebbe appunto dei giorni. A complicare la situazione potrebbe essere, però, l’aumentata sismicità con terremoti più forti».
È possibile prevedere l’eruzione?
«È possibile, ma non in maniera deterministica. Significa che non siamo in grado di indicare il momento esatto in cui il vulcano erutterà. Le stime di pericolosità, però, mediamente sono attendibili quando si monitora un vulcano così bene come nel caso dei Campi Flegrei», risponde il vulcanologo. Più allarmistico, invece, il collega Mastrolorenzo, convinto che occorra «abbandonare l’approccio probabilistico del piano di evacuazione e adottare quello deterministico, in pratica dobbiamo metterci in condizione di elaborare un piano che preveda l’allontanamento della popolazione anche durante una fase eruttiva già iniziata. È questo infatti lo scenario più probabile, ed è già accaduto nel caso del Pinatubo nelle Filippine o del Merapi in Indonesia. Dobbiamo essere in grado di salvare la popolazione anche in caso di eruzione, attraverso vie di fuga radiali e non tangenziali, ma questo tipo di scenario non è contemplato dagli attuali piani. Insomma, anche se l’eruzione ci coglie di sorpresa dovremmo poter sapere cosa fare e come aiutare la gente, ma tutto questo oggi semplicemente non è stato previsto».
Esiste un piano di emergenza?
Dal vertice a Palazzo Chigi è emerso un piano che prevede quattro punti, tra i quali la messa a punto di un Piano di analisi della vulnerabilità del territorio, finanziato dalla Protezione civile nazionale; un Piano della comunicazione alla popolazione, che preveda anche il coinvolgimento degli alunni delle scuole primarie dei Comuni Flegrei; l’aggiornamento del Piano di emergenza e delle vie di fuga, anche con apposite esercitazioni periodiche; una verifica della rete infrastrutturale, per finanziare lavori di manutenzione straordinaria. «Già oggi, comunque, c’è un piano di emergenza, che viene messo a punto dalla Protezione Civile e periodicamente aggiornato».