La violenza assistita è l’altra faccia della violenza di genere. Forse la più odiosa, di sicuro la meno raccontata. È quella a cui sono costretti tanti, troppi bambini – 1.211 solo nei primi 6 mesi del 2024, secondo l’Istat – quando vedono maltrattare la mamma. O anche, semplicemente, quando capiscono che soffre a causa dei comportamenti violenti del papà.
Violenza assistita: vedere fa male quanto subire
E non servono i lividi: le parole colpiscono allo stesso modo e lasciano cicatrici invisibili. Come ci racconta A. (il nome non è completo per ragioni di privacy), madre ora 41enne, arrivata nel 2014 nel Villaggio SOS di Ostuni: è uno degli 8 Programmi di accoglienza e sostegno familiare di SOS Villaggi dei Bambini, organizzazione impegnata da oltre 60 anni a favore di bambini e ragazzi che hanno perso le cure familiari o sono a rischio di perderle e, in questa cornice, nell’accoglienza e sostegno di donne che insieme ai loro figli vivono momenti di forte fragilità o sono vittime di violenza. Con lei, hanno sofferto e soffrono ancora i suoi 4 bambini, con in casa un uomo che man mano la isolava, la obbligava ad avere rapporti non protetti perché, nel suo pensiero, una donna incinta sarebbe stata meno desiderabile. Un uomo che controllava ogni aspetto della sua vita, insinuando rapporti con altri uomini, soffocandola con la sua gelosia, mettendo in discussione ogni sua scelta. Un uomo che arrivava a picchiare e umiliare i figli, minando la loro autostima e la fiducia negli adulti, aprendo delle ferite che solo il tempo forse potrà curare.
Cosa succede ai bambini vittime di violenza assistita
Ma cosa succede alle piccole vittime di violenza assistita? Ne parliamo con Glenda Pizzetti, coordinatrice pedagogica del Programma Mamma e Bambino di SOS Villaggi dei Bambini, il focus di questa organizzazione che in Italia oggi accoglie 136 donne e 242 piccoli. «La storia di A. e dei suoi figli rappresenta nella sua drammaticità un tipico caso di maltrattamento familiare. I bambini spesso sono esposti agli abusi subiti dalla madre e, a volte, diventano anche vittime di violenza diretta. Entrambi i casi sono gravissimi: la violenza assistita è una forma di violenza che lascia segni profondi e duraturi. I bambini sviluppano sentimenti di rabbia e la donna, a sua volta, fatica a esercitare il suo ruolo genitoriale a causa dei maltrattamenti, che alterano profondamente le sue funzioni genitoriali, in particolare la capacità di proteggere i figli».
Perché la violenza assistita è così grave
I bambini possono reagire in modi diversi. «Alcuni mettono in atto comportamenti violenti in famiglia e all’esterno, utilizzando la violenza come forma di comunicazione appresa» prosegue l’educatrice. «Altri diventano estremamente docili e rispettosi delle regole, cercano di farsi notare il meno possibile nella speranza di evitare l’esplosione della violenza. Tutti rischiano di diventare adulti incapaci di riconoscere i segnali della violenza, perché per loro quella è diventata la normalità». Per fortuna A. racconta che lei e i suoi figli ce l’hanno fatta ad avere una vita come tutti gli altri: dopo diverso tempo al Villaggio SOS di Ostuni e varie separazioni, ora abitano di nuovo tutti insieme in una città lontana dal padre, dove A. ha trovato un lavoro.
Il ruolo degli insegnanti e del pediatra
Anche i bambini di Fernanda ora hanno una vita normale. Lei è riuscita ad attivarsi prima che le violenze diventassero fisiche e coinvolgessero anche loro. Lo ha fatto grazie alla segnalazione della pediatra, che si era accorta dei comportamenti anomali del compagno. «È la rete di professionisti intorno alle famiglie a fare la differenza. Quando un pediatra o un insegnante nota sintomi di abusi negli atteggiamenti dei piccoli (irritabilità, aggressività o, al contrario, passività o eccessivo adeguamento alle regole) o degli adulti, è tenuto a segnalarli, ed è a quel punto che prima il genitore vittima, e poi entrambi, vengono convocati» spiega Glenda Pizzetti. «Spesso i genitori negano, oppure non si presentano neppure al colloquio. E anche questo è un segnale da approfondire. Fernanda invece ha colto l’osservazione della pediatra come punto di partenza per riflettere sul suo ruolo di madre: nei casi di violenza in famiglia, infatti, la donna ha il compito e la responsabilità di reagire e proteggere i bambini. Quando non ci riesce, intervengono i servizi sociali e il Tribunale per i minori facendole capire l’importanza di allontanarsi con il bambino da quel contesto».
Tamte forme di aiuto ai bambini vittime di violenza assistita
L’immagine dell’assistente sociale che porta via i minori quindi corrisponde alla realtà? «Quando i compiti genitoriali sono alterati, i medici e gli insegnanti che hanno contatti con i bambini devono segnalare la situazione ai servizi sociali. Ma questo va visto come un aiuto, anche perché ci sono tante sfumature nel sostegno a una donna vittima di violenza e ai suoi bambini. Per esempio, un educatore che assiste i piccoli a casa nei compiti e intanto osserva le dinamiche: si chiama ADM, Assistenza Domiciliare Minori. Oppure un insegnante di sostegno: sono figure dedicate non solo ai bambini con disabilità ma anche ai casi di difficoltà temporanee emotive e svantaggio socio-culturale» spiega Pizzetti. Non occorre la denuncia per attivare i servizi sociali. «Siamo noi mamme a dover agire per prime. I bambini non devono pagare. Dobbiamo proteggerli» dice Fernanda. «Arriva qualcuno che tende la mano, magari la prima volta hai paura ma la seconda decidi di andare avanti. Nel mio caso, sono stati i vicini a segnalare che sentivano delle urla la prima volta che la polizia è entrata in casa mia, ma in quell’occasione non ho avuto il coraggio di raccontare la violenza».
Il senso di colpa resta dentro
Nessuno dice che sia facile. Prima o poi, però, occorre farlo, pensando proprio ai bambini e al loro diritto a una vita piena e ricca. Come testimonia la storia di Fabjan Thika, costretto fin da piccolissimo ad assistere alle violenze del padre ubriaco sulla madre. Diventato adulto e a sua volta papà, oggi ha trasformato la propria sofferenza in servizio per gli altri: ha aperto House of boxing, una scuola di boxe per aiutare i ragazzi, e ha scritto il libro 12 round per migliorare te stesso (su Amazon.it). Collabora con servizi sociali, carcere minorile, scuole e SOS Villaggi dei Bambini, dove ha passato l’infanzia. Una storia straordinaria di resilienza e amore: lì lui e suo fratello, abbandonati dalla madre, hanno trovato una famiglia, ma soprattutto sono riusciti con l’aiuto degli educatori a ricostruire il rapporto con il padre. Ora il padre è morto e Fabjan, adulto, deve fare i conti anche con il senso di colpa, una delle eredità che la violenza assistita lascia ai bambini. Le famose cicatrici invisibili.
Per la legge la violenza assistita non è reato autonomo
La violenza assistita non è un reato autonomo. «È stata identificata come forma di violenza domestica dalla Convenzione di Istanbul del 2011, ratificata dall’Italia nel 2013, e poi riconosciuta come aggravante del reato di maltrattamento nel Codice Rosso del 2019» spiega l’avvocata Mariagrazia Di Nella del Comitato scientifico di SOS Villaggi dei Bambini. «La pena dipende quindi dal reato sottostante, ma ci sono delle conseguenze anche in sede civile: una madre che non può proteggere i figli rischia di perdere la responsabilità genitoriale. Il giudice in molti casi ha la funzione preziosa di attivazione della donna: quando le si prospetta il rischio di allontanamento dei minori, trova la forza di lottare, se non per se stessa, per i propri figli».