È di pochi giorni fa la condanna del Tribunale di Palmi a carico di sei giovani ritenuti responsabili della violenza sessuale di gruppo nei confronti di due ragazze minorenni di Seminara e Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria. Ora, intervistata dal Corriere della Sera, è la madre di una delle due vittime a raccontare il clima di minacce e intimidazioni che la sua famiglia è costretta a subire in un «ambiente culturalmente disagiato e intriso di criminalità». Un luogo dove la gente ha paura di esporsi nei confronti dei clan locali, a cui sono legati alcuni degli stessi violentatori.
Sei condanne per violenza sessuale
Il processo in primo grado con rito abbreviato a carico dei 13 imputati accusati di violenza sessuale di gruppo nei confronti delle due ragazzine di Seminara e di Oppido Mamertina – nella Piana di Gioia Tauro – si è chiuso con sei condanne e altrettante assoluzioni. L’udienza si è svolta davanti al gup del Tribunale di Palmi (Reggio Calabria), Francesca Mirabelli, che ha disposto condanne dai 13 ai 5 anni di reclusione. Da gennaio del 2022 a novembre 2023, le due adolescenti hanno subito violenze, ricatti e minacce dal gruppo di giovani, alcuni dei quali all’epoca minorenni e di famiglie vicine alle cosche della zona.
La mamma di una vittima al Corriere: «Ci sentiamo in pericolo»
In un’intervista rilasciata a Carlo Macrì sul Corriere della Sera, la madre di una delle due vittime ha raccontato che la figlia è stata costretta a lasciare il paese. E la sua famiglia subisce continue intimidazioni e danneggiamenti: «Negli ultimi mesi hanno tagliato cinque volte le gomme della mia auto. Ci sentiamo in pericolo, nessuno ci aiuta», dice la donna al quotidiano milanese, sottolineando la totale assenza da parte delle autorità locali: «Il fratello del sindaco è uno dei violentatori. È stato condannato a cinque anni in abbreviato», ricorda la donna, mentre il parroco «non ha mai detto una parola. Per questo motivo non metto più piede in una chiesa».
Violenza sulla figlia, ora minacce e insulti alla famiglia
Per la mamma di Clelia (nome di fantasia) la vita in paese è diventata un inferno. I parenti degli stupratori rivolgono continui insulti e minacce a lei e al marito, un calvario che non risparmiano nemmeno all’altro figlio preadolescente della coppia. «La gente lo incontrava per strada e sputava a terra in segno di disprezzo. – racconta la donna al Corriere – Tornava a casa piangendo».
«Mia figlia? Andrà via dalla Calabria»
«Da due anni è come se non avessi più una figlia. La vedo solo un’ora al giorno. Mi sento impazzire», dice la donna a proposito della figlia che, quando finirà a scuola, andrà via dalla Calabria: «Non vuole sentire ragioni di restare. E io condivido la sua volontà».
Un territorio in mano ai clan, «La gente qui ha paura»
Il problema evidenziato dalla mamma di Clelia nell’intervista al quotidiano milanese è lo stato di profonda arretratezza e omertà di un territorio ancora dominato dai clan della ‘ndrangheta. Un luogo dove regna la paura e nessuno ha il coraggio di esprimere solidarietà anche verso un crimine così grave e inaccettabile come la violenza di gruppo su due ragazzine. «Viviamo in un ambiente culturalmente disagiato e intriso di criminalità. – afferma la donna – Alcuni nostri amici ci hanno espresso la loro vicinanza ma solo in privato. Hanno paura di esporsi pubblicamente. “Loro”, i parenti dei condannati, sono tutti vicini ai clan della zona. La gente qui ha paura. E io li capisco».