La storia arriva dalla Lombardia, ma potrebbe essere accaduta ovunque perché si tratta di violenza sulle donne. Vittima dei maltrattamenti, in questo caso, è una ragazza di Busto Arsizio, in provincia di Varese, che ha negato gli abusi del compagno, denunciati invece dalla madre di lei. Nonostante sia emerso che l’imputata aveva mentito, però, è stata assolta dall’accusa di falsa testimonianza.
Violenza sulle donne: perché mentire
Dichiarare il falso, dunque, non sempre è punibile. È quanto si deduce dalla sentenza della Cassazione che, come riferisce l’AGI, ha assolto una donna che aveva mentito sui maltrattamenti subiti dal compagno e denunciati invece dalla madre dell’imputata. La donna era stata condannata in primo e secondo grado, ma i supremi giudici hanno ritenuto di assolverla, annullando le precedenti condanne senza rinvio. Secondo gli “ermellini”, infatti, «la denuncia era stata presentata dalla madre e non da lei che anzi aveva reagito disapprovando la scelta della madre» e l’imputata «sentita come teste nel procedimento per maltrattamenti aveva dichiarato di essere ancora innamorata del compagno».
La falsa testimonianza sui maltrattamenti subiti
I maltrattamenti, secondo quanto emerso, erano iniziati nel 2016, ma secondo la Cassazione «quando (la vittima, NdR) rese la testimonianza nel processo a carico del convivente temeva per la libertà del compagno che avrebbe subito un inevitabile pregiudizio, se ella avesse raccontato i maltrattamenti subiti». Da qui la decisione di non considerare le menzogne della vittima come falsa testimonianza. «l reato di maltrattamenti in famiglia rientra tra quelli perseguibili d’ufficio, cioè non è necessaria la querela della persona offesa. Chiunque ne venga a conoscenza può denunciare. Questo spiega perché la madre ha potuto farlo», spiega l’avvocata Claudia Rabellino Becce. «La violenza sessuale, invece, a meno che non sia compiuta su minore o sia di gruppo, è perseguibile solo a querela di parte», aggiunge l’esperta.
Violenza sulle donne: perché poche denunce
Nel caso in questione, che però secondo gli addetti ai lavori è molto frequente, si può arrivare a mentire anche in Tribunale non tanto per amore, quanto per paura delle conseguenze, nonostante il sostegno di un familiare (in questo caso la madre, decisa a presentare querela). «I dati ci dicono che le donne hanno difficoltà a denunciare: per paura, per vergogna, per difficoltà ad essere credute e così via – sottolinea Rabellino Becce – Il nostro sistema non aiuta e l’Italia infatti è stata più volte condannata dalla Corte europea per i diritti umani, per “Sottovalutazione dei rischi subiti dalle donne che hanno denunciato violenze domestiche e sessuali, “mancata adozione di misure di protezione”, “ritardi nello svolgimento degli atti investigativi”, “mancanza di indagini sugli episodi di violenza denunciati e eccessiva durata dei procedimenti giudiziari contro gli aggressori”».
Chi può aiutare a denunciare i maltrattamenti
A colpire, però, è anche il fatto che la madre della vittima si sia esposta: «Le donne che subiscono maltrattamenti spesso si confidano con persone a loro vicine, che possono essere madri, sorelle, amiche. Ma a denunciare è una netta minoranza. A pesare non è solo la paura delle conseguenze o ritorsioni. Bisogna ricordare alle donne che esiste anche il Numero Antiviolenza 1522, così come ci sono centri antiviolenza. Purtroppo non sono sufficienti e questo si aggiunge al fatto che le donne non si sentono ancora protette e supportate, soprattutto dal sistema giustizia», osserva l’avvocata.
Cosa serve davvero alle donne
«A pesare è sicuramente la paura della vittimizzazione secondaria, cioè di non essere credute quando denunciano o quando si trovano nelle aule dei Tribunali, ma ancora prima a spaventare è anche la violenza economica, che crea la dipendenza della donna dal partner: sono entrambi fattori determinanti – insiste Rabellino Becce – Le donne per denunciare devono potersi sentire protette, devono poter avere fiducia in un sistema che le tuteli. Tutti gli operatori e le operatrici della “filiera” di prevenzione e protezione dovrebbero prima di tutto ricevere una formazione specifica e poi il sistema per funzionare ha bisogno di investimenti. Lo stanziamento di fondi è essenziale per creare e mantenere efficienza». Un esempio concreto sono i braccialetti elettronici: «Sarebbero utili contro lo stalking, ma mancano perché non ci sono fondi. Lo stesso vale per processi lunghissimi per mancanza di personale o per il ritardo con cui le forze dell’ordine a volte intervengono, come alle chiamate di chi ha sentito le urla di Giulia Cecchettin, per carenza di organico», conclude Rabellino Becce.