Un orrore dopo l’altro. Lo stupro di gruppo di Palermo, ora Caivano, solo qualche giorno fa – ma sembra già lontanissimo – Piano di Sorrento, e poi Catania e la Val Venosta. Una mattanza di donne in questo agosto caldissimo.

Prima lo sdegno, poi la violenza sui social, ora gli hastag

Prima l’indignazione, poi giù nell’arena dei social a macinare violenza – da tastiera e gratuita – , adesso una battaglia a suon di hashtag di alcune showgirl dai loro profili Instagram (che così crescono). Nella sostanza, nulla cambia per le donne. Quelle uccise e quelle che saranno molestate, discriminate, pagate di meno. Uccise pure loro.

Dove sono i soldi per combattere la violenza?

I giochi si devono fare da un’altra parte, solo che la politica tace, gli uomini tacciono. L’unica risposta è stata finora quella del Prefetto di Palermo, che convoca il vertice per la sicurezza. Anche quella conta, ma sappiamo che non basta. Il vero problema è che se l’indignazione e i post sui social non costano nulla, la prevenzione invece sì che costa. Dove sono i soldi per le politiche di genere? Dove sono gli stanziamenti per progetti culturali che insegnino la parità tra i sessi, il rispetto dell’altro, a partire dalla scuola materna? Dove sono le voci di spesa nei rispettivi bilanci per le politiche di genere?

Le Pari opportunità è un Dipartimento senza portafoglio

«Le Pari opportunità si chiama Dipartimento, non è un Ministero e non ha portafoglio. Vuol dire che deve trovare i fondi per le sue politiche volta per volta» dice Samanta Picciaiola, presidente dell’associazione Orlando di Bologna, che gestisce il Centro di documentazione, ricerca e iniziativa delle donne nato negli anni Settanta. «Dei fondi si potrebbero attingere dai bandi, se ce ne fossero. I bandi nazionali sono rarissimi. Prima di cadere, il governo Draghi ne aveva emanato uno “per il finanziamento di iniziative di informazione e sensibilizzazione rivolti alla prevenzione della violenza maschile contro le donne”. Il bando stanziava dai 50 ai 200 mila euro per i centri antiviolenza e per progetti culturali di associazioni ed enti del territorio. Una bella cifra. L’associazione Orlando ha partecipato, insieme a una rete corposa, come sempre accade per questi progetti, dove essere in tanti fa la differenza. Con noi, la Casa internazionale delle done di Roma, la Casa delle donne per non subire violenza di Bologna, il comune di Cento e tante altre associazioni. Inoltrate le domande, abbiamo atteso ma non c’è stata alcuna comunicazione. Chiamato e sollecitato il Dipartimento, non abbiamo avuto risposta. Dove sono finiti quei soldi?».

Contro la violenza servono stabili politiche di genere

Oltretutto partecipare ai bandi è faticoso, richiede tempo, energie. Competenze. Occorre organizzare cordate e alleanze. «Un Paese civile disporrebbe di finanziamenti stabili e continuativi per contrastare femminicidi e violenze, mettendo in campo serie politiche di genere. E quando si dice politiche di genere si debbono intendere quelle politiche trasversali che, sole, possono darci la speranza di trasformare la cultura del nostro Paese. Quelle che passano dalla scuola (meritarsi il consenso non rientra nei programmi di scuola per le ragazze italiane), dal lavoro (equo ed equamente pagato per tutte), dalla partecipazione (mai più quotate in rosa nei Suk maschili dei partiti), dal rinnovamento delle pratiche e delle retoriche spese nel discorso pubblico».

Anche Laura De Dilectis, presidente dell’associazione Donnexstrada, ha lanciato un appello alle istituzioni: «Sono tutti i ministeri a essere coinvolti nella questione violenza contro le donne. Dove eravate, dove siete e dove sarete? Famiglia, natalità e pari opportunità: la violenza di genere è la vostra principale questione. Prima di pensare alla natalità e alla famiglia risolverei il fatto che le donne vengono uccise e stuprate. Altrimenti non mi sposo con un uomo che mi potrebbe ammazzare, e una figlia che potrebbe essere uccisa e stuprata, non la metto al mondo. Il Ministero per lo sport e i giovani dovrebbe attuare politiche in favore della gioventù: sono molto giovani gli stupratori e gli assassini. Quali sono le vostre politiche a favore della gioventù? E come la mettiamo con le molestie nello sport? La sicurezza in strada delle donne riguarda il ministero dell’Interno, quello della Giustizia deve proteggere le donne che denunciano. Sono urgenti dei piani nelle città per contrastare le aggressioni: e questo riguarda il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti. Per non parlare dell’Istruzione: fate qualcosa nelle scuole e nelle università, è un vostro dovere».

Quanta retorica inutile e gratuita

Per ora, ci restano le mimose e il fiocchetto rosso per il 25 novembre che, ormai, anche il più piccolo Comune si sente in dovere di elargire. Ma soprattutto ci resta la retorica di tutti, media, tribunali, leggi e giornali, che offuscano e normalizzano la cultura dello stupro, come dice Samanta Picciaiola. «Le parole che hanno accompagnato gli atti dei sette giovani stupratori non devono sfuggirci nella loro infinita miseria: sono le parole della performance, della vita spesa in modalità on line, della soggettività ridotta ad avatar, che spezza l’integrità dell’altro, meglio se dell’altra o delle altre. Quei volti surreali sono e restano non quelli dei mostri, dei cani (maledetto questo antropocentrismo scellerato e falso), ma quelli dei figli sani del patriarcato. Come andiamo dicendo e urlando nei cortei e nelle piazze da quarant’anni».

I figli violenti sono anche nostri

Questi figli sono anche i figli nostri: «Sono i nostri alunni nelle classi, i nostri giovani nelle politiche dello sport e del tempo libero, sono i nostri cittadini nelle urne, i nostri colleghi di lavoro. I nostri compagni. Anche a Palermo, questa discesa agli Inferi è avvenuta per mano di un ex fidanzato. Di loro, come di noi, dobbiamo prenderci cura: spendiamo tempo e denari per bonificare questo Paese, rendendolo un luogo dove non faccia più paura crescere le nostre figlie. Perché a Palermo siamo state tutte umiliate ma è da ogni luogo in cui ci troviamo che non dobbiamo pensarci vinte».