La tragedia causata dai cinque youtuber
Manuel è morto a 5 anni, la sorellina e la mamma sono in prognosi riservata. Il papà del bambino, accorso sul luogo dell’incidente, ha cercato di aggredire il conducente, un ragazzo di 20 anni. Lui e altri quattro con una Lamborghini presa a noleggio all’autosalone Skylimit (1.500 euro al giorno con lo sconto del 10 per cento) hanno travolto la smart guidata da Elena Uccello, 29 anni, con Manuel e la piccola Aurora, appena usciti dalla scuola materna.
660 mila iscritti sul loro canale YouTube
I quattro si aggiravano per le strade del quartiere Casal Palocco di Roma, dove abitano, da due giorni. Dovevano terminare una delle tante challenge da pubblicare sul loro canale youtube TheBorderline, da 660mila iscritti (88mila su Instagram).
Il video postato dagli youtuber poco prima dell’incidente
In un video postato su Tiktok che compare poche ore prima dell’incidente, Vito L., 20 anni, fa battute sui bambini e chi possiede Smart, mettendosi al volante della stessa Lamborghini ferma in un cortile (salvo poi subito dopo l’incidente precisare sui social che lui al volante non c’era).
Sulla loro pagina di YouTube, i cinque di TheBorderline si raccontano così: «Non siamo ricchi ma ci piace spendere per farvi divertire a voi! (bell’italiano! ndr). Tutto quello che facciamo si basa su di voi, più supporto ci date più contenuti costosi e divertenti porteremo, tra sfide, challenge e scherzi di ogni tipo cercheremo di strapparvi una risata in ogni momento:) Ogni singolo euro guadagnato su YouTube verrà speso per portare video ASSURDI e UNICI» (su questo, non nutriamo alcun dubbio). L’obiettivo che dichiarano: «Regalare a qualcuno di voi un milione di euro (Probabilmente non accadrà mai, ma è il nostro obbiettivo)». Anche perché se c’è qualcuno che ci guadagna, sono loro.
I cinque youtuber e le sfide di 50 ore di seguito
Le sfide assurde (nel senso più stretto del termine, che non ha nulla di simpatico) sono gare di resistenza: nel ghiaccio, con 10 ragazze in 24 ore, su una mini zattera 24 ore e via così. Giochi da ragazzi? Non proprio, viste le conseguenze. Visto anche ciò che ci sta sotto, cioè i guadagni. Tanti.
Yari Brugnoni, Co-Founder di Not Just Analytics (l’app più usata in Italia per analizzare profili Instagram) ci spiega come funziona l’algoritmo di Youtube e dei social network, per cercare di capire come lavorano i youtuber ma soprattutto perché arrivino ad avere così tanti follower, anche con contenuti del genere, più che discutibili. «Instagram, Tik Tok e YouTube funzionano con algoritmi che creano un rapporto morboso. Lo scopo è pubblicare contenuti eclatanti, divisivi oppure estremi come le challenge: in questo modo si attirano le persone, e più pubblichi cose fuori dal comune, più le persone restano del tempo sulla piattafoma, soprattutto guardando le sfide dove vuoi vedere come andrà a finire. Il tempo, i like, le visualizzazioni sono un valore che porta inserzioni: il video diventa così uno spazio dove le aziende possono inserire la loro pubblicità. Youtube fa guadagnare così».
La caccia ai follower è pura ricerca di traffico
I social non sono di per sé da demonizzare, dipende dall’uso che se ne fa. «Le aziende che devono vendere un prodotto cercano un certo pubblico sui social, selezionando quindi attraverso azioni mirate. Chi invece è solo interessato al numero di follower e alle visualizzazioni, può anche produrre contenuti vuoti: a chi dall’altra parte cerca spazi per collocare la propria pubblicità interessa soprattutto il traffico, non la qualità di ciò che si pubblica».
Chi ha tanti follower ha precise responsabilità
Il paradosso dei social è che danno visibilità a comportamenti anche socialmente riprovevoli ma, per il solo fatto che qualcuno – peggio ancora se molti – li rende pubblici, allora si può pensare di poterli mettere in atto. «Questo è il problema: chi ha tanti follower è un personaggio pubblico e ha delle responsabilità a cui non può venir meno. Questi ragazzi domani non potranno dire: “Non siamo noi a chiedere di seguirci”. Se lavori con questi strumenti, devi essere consapevole delle conseguenze di ciò che pubblichi». Conseguenze che in questo caso sono state drammatiche. La morte del piccolo Manuel poteva essere prevista? Sicuramente guidare una Lamborghini a 20 anni girando video, vuol dire accettare dei rischi.
I social oggi sono «geneticamente modificati»
Ma quanti rischi si conoscono e si accettano nell’uso dei social? Quanto si è preparati all’invasività di questi strumenti? Federica Micoli ha invertito la rotta pericolosa su cui la stava portando il suo lavoro con e sui social: ha appena scritto un libro, Confessioni di un’influencer pentita (Fabbri ed.) in cui racconta come la schiavitù dell’algoritmo avesse preso possesso di tutti gli aspetti della sua vita.
«Oggi i social sono geneticamente modificati» dice l’autrice, che aveva iniziato a dedicarsi ai social quando era manager di un’azienda di moda. Ora si fa portavoce, dai suoi profili e con il suo libro, di un approccio sano alla materia, per quanto sia difficile. «All’inizio i social erano nati per intrattenerci e noi, come all’inizio del Grande Fratello, un po’ ingenuamente non capivamo cosa sarebbe potuto succedere. Ora lo sappiamo: sappiamo che a ogni azione corrisponde una reazione, sappiamo che per avere follower saremo costretti a spingerci sempre più in là, a varcare limiti prima impensabili. Oggi i social entrano negli spazi più intimi, perfino all’ospedale, dove le mamme postano foto dei loro bimbi: è questa la pornografia del dolore di cui molte persone sono schiave, più o meno consapevoli. Non c’è più confine fra la vita dentro e fuori casa, perché l’algoritmo spinge a pubblicare di continuo».
L’effetto casinò indotto dall’algoritmo
Certo si può sempre non farlo, come ha deciso Federica, influencer pentita, ma non è semplice e non tutti hanno la forza e la libertà mentale di reagire. «L’algortimo è programmato per renderci schiavi» spiega Brugnoni. «Su Instagram per esempio spinge in maniera alternata i profili: prima vivi una fase positiva dove ti premia, cioè fa in modo che i contenuti siano visti da più persone. Dopo, come in un amore tossico, subentra una fase negativa in cui limita la visibilità dei tuoi contenuti. Questo genera un effetto casinò per cui non sai quando vinci o perdi e così, come un giocatore incallito, continui a giocare perché sai che in passato hai vinto, quindi continui a scommettere. Non ottenendo però risultati, devi trovare qualcosa di diverso e attraente, spingendoti sempre un po’ più in là».
Siamo noi con le nostre scelte a guidare l’algoritmo
È adesso che dobbiamo chiederci fino a che punto vogliamo arrivare. «Io spero davvero che la tragedia di Roma diventi un momento di riflessione sulla pericolosità dei social, un punto di partenza per tutti, soprattutto per i giovani». Ma forse non abbiamo ancora toccato il fondo. Il vero cambiamento parte da noi, non dall’algoritmo. Siamo solo noi a poter introdurre qualità, riflessione, profondità. «Non è l’algoritmo che deve cambiare, siamo noi a dover cambiare gli input, le interazioni e i messaggi. L’algoritmo si adatta a noi. Siamo noi che lo possiamo modellare: se iniziassimo tutti a interagire con contenuti di valore, l’algoritmo sarebbe costretto a mostrarci solo quelli, e la qualità nell’uso dei social si alzerebbe»