Lo youtuber patteggia la pena: niente carcere
Matteo Di Pietro all’epoca dei fatti si trovava alla guida di una potente automobile, presa a noleggio per realizzare una “challenge” da postare su canale YouTube che gestiva con alcuni amici. Ma l’alta velocità fece perdere il controllo del mezzo, che finì per investire una madre e i suoi due figli: la donna e la bambina rimasero ferite, mentre per il fratellino di cinque anni non ci fu nulla da fare. La difesa di Pietro ha chiesto e ottenuto il patteggiamento per le accuse di omicidio stradale e lesioni.
La difesa: «Si è scusato»
«Ha espresso le sue scuse, il suo dolore. Ha riconosciuto nuovamente la sua responsabilità, come aveva già fatto nell’interrogatorio e ha espresso anche il suo desiderio di impegnarsi in futuro in progetti che riguardano la sicurezza stradale. Quindi un suo impegno sociale che lui stesso ha definito come ‘obiettivo sociale’», ha spiegato Antonella Benveduti, legale di Di Pietro.
Niente carcere, ma rieducazione
Il giovane, quindi, eviterà il carcere perché, come ha spiegato ancora l’avvocata della difesa, «credo che questa sia una condanna in linea con quelle che sono le finalità del nostro ordinamento: rieducazione e risocializzazione proprie della sanzione penale: dobbiamo appunto vedere una pena rispetto a queste finalità. Sono cardini fondamentali del nostro ordinamento penale previsti dalla Costituzione e davvero importanti nel valutare poi la correttezza di questa pena». Benveduti ha aggiunto: «Nessuna condanna può mitigare il grave lutto, la grave perdita e quindi dobbiamo tenere a mente questi obiettivi di rieducazione».
La reazione della famiglia del bimbo rimasto ucciso
A Di Pietro, a cui è stata revocata la patente, sono state riconosciute le attenuanti generiche, che hanno portato a ridurre la pena insieme al patteggiamento. Il Gup della decima sezione penale del tribunale di Roma ha accolto il patteggiamento e ratificato la pena. La famiglia del bimbo rimasto ucciso nell’incidente ha reagito in modo composto, ma addolorato, dicendo: «Eravamo preparati, oggi non è stata una sorpresa. Resta la tragedia per una famiglia, per una madre. Oggi abbiamo una condanna che rispettiamo ma che non potrà restituire la vita di un bimbo di 5 anni», ha spiegato il legale Matteo Melandri.
La proposta del reato di istigazione alla violenza
L’incidente causato dagli YouTuber aveva suscitato un’ondata di sdegno, emozione e discussione, tanto da ipotizzare l’istituzione del reato di istigazione alla violenza o a comportamenti illeciti attraverso il web. La proposta era arrivata dal Governo. Nel frattempo il canale TheBorderline, di cui facevano parte i ragazzi responsabili dello schianto, è stato chiuso.
Gli YouTuber hanno chiuso il canale TheBorderline
Nell’ultimo messaggio che i giovani youtubers avevano postato sul web spiegavano che «l’idea era quella di offrire ai giovani un intrattenimento con uno spirito sano. La tragedia accaduta è talmente profonda – proseguono – che rende per noi moralmente impossibile proseguire questo percorso. Pertanto, il gruppo TheBorderline interrompe ogni attività con quest’ultimo messaggio». Poche parole, quindi, da parte degli YouTuber che non si sono detti pentiti, ma presumibilmente avrebbero agito sotto consiglio dell’avvocato. Di Pietro ad oggi è l’unico accusato e condannato per la tragedia. Perché solo lui e perché quei video erano online, nonostante il rischio di emulazione?
Che responsabilità hanno i passeggeri?
A lungo ci si era interrogati, all’epoca dei fatti, sul ruolo di chi era a bordo del bolide noleggiato a 1.500 euro al giorno. Per Di Pietro si è proceduto per omicidio stradale e lesioni. Ma che ruolo e responsabilità (quantomeno morale) hanno avuto gli altri ragazzi che erano in macchina con lui e che presumibilmente filmavano la corsa per postare il video su YouTube e ottenere visualizzazioni? Si poteva ipotizzare un concorso nel reato? «Purtroppo non c’è giurisprudenza univoca su questo, perché sono casi rari e nuovi», spiega l’avvocato Marina Marraffino, specializzata in ambito web e minori.
Gli altri reati ipotizzabili per gli YouTuber
«Il concorso in omicidio stradale è sarebbe configurabile per via del loro contributo morale, ma solo in caso di conferma dai video realizzati durante l’azione. Sarebbe un’ipotesi reale, per il solo fatto di essere stati presenti a un’azione che implica un dolo. Non sarebbe esclusa neppure l’aggravante di aver saputo che chi guidava era sotto l’effetto di sostanze o se lo erano anche i passeggeri, ma questo sarebbe stato da accertare», spiegava Roberta Cantoni, avvocato penalista a Milano e Monza. Secondo il legale, invece, non era configurabile il reato di istigazione, «perché la norma prevede che questa debba avvenire pubblicamente. In questo caso, però, non occorre neppure farvi riferimento perché si è proceduto per omicidio stradale».
Gli Youtuber non dovrebbero poter lucrare con video pericolosi
«La questione vera e più grave è che quel video, come quelli analoghi, non doveva stare su YouTube. Questo era già oggetto di una nostra proposta di legge», spiega l’avvocato Marisa Marraffino, che è anche legale di Terres des Hommes, che si occupa di difesa di minori.« Sono anni che diciamo che dovrebbe esserci un’Autorità garante per le Telecomunicazioni digitali, specie a tutela dei minori. Il sistema è sbagliato alla fonte: gli Youtuber non dovrebbero poter lucrare pubblicando video pericolosi». «Personalmente fa rabbia pensare che questo era nella nostra proposta di legge che non solo non è stata approvata, ma neppure discussa. Ora emerge il problema. Video del genere, come quelli realizzati dagli Youtuber, non andrebbero mai in onda in tv: su YouTube addirittura possono esserci banner pubblicitari su filmati così pericolosi, che quindi sono fonte di guadagno. È assurdo, è ora che ci sia una regolamentazione», prosegue Marraffino. È lo stesso legale a ricordare come l’AGCOM, l’Autority per le Comunicazioni, abbia sanzionato la Rai con 170 mila euro di multa «per molto meno» o abbia emesso sanzioni per la pubblicità su Instagram, «Qui, invece, nessuno interviene quando pubblichi un video in cui stai 50 ore alla guida creando pericoli per gli altri», aggiunge l’avvocato.
La nuova proposta di legge
Lo scorso giugno si parlava anche di una proposta di legge da parte dell’esecutivo, nell’ambito della riforma Nordio della Giustizia. Come spiegava ilsottosegretario alla Giustizia, Andrea Ostellari (Lega), «Il contrasto alla produzione e diffusione di video che esaltino condotte illegali è uno dei punti qualificanti» di un disegno di legge esistente. Si tratta di quello “anti baby gang” che aveva fortemente voluto il segretario del Carroccio, Matteo Salvini. Sulla scia dei fatti di Roma che hanno sollevato pesanti interrogativi sulle condotte online, si voleva estendere la fattispecie di reato prevista per i minori a «tutte le condotte illegali che vengano riprese e celebrate attraverso l’uso dei social, benché compiute da persone adulte, da cui ci si aspetterebbe una maturità che evidentemente non è scontata», spiegava Ostellari. L’idea, quindi, era di modificare l’articolo 414 del Codice penale, estendendo la fattispecie di reato a chi, a prescindere dall’età, «esalta condotte illegali» o «istiga alla violenza», proprio diffondendo sui social e canali web video che spingono a comportamenti illeciti o borderline (come il nome del canale dei 20enni protagonisti dell’incidente di Roma, The Borderlines, appunto), per ottenere profitti dalle stesse piattaforme digitali.
Come evitare l’effetto emulazione
Il vero rischio in casi analoghi, infatti, è l’effetto emulazione. «Occorre evitare l’”effetto moda” generato da chi compie bravate sul web», sottolineava il Sottosegretario. Secondo uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità condotto tra gli studenti tra gli 11 e i 17 anni, il 6,1% dei ragazzi ha partecipato almeno una volta nella vita a una sfida social pericolosa. Nello stesso tempo si torna a parlare di un innalzamento dell’età minima di accesso ai social stessi. Di recente lo aveva proposto l’Autorità Garante per l’Infanzia, ipotizzando i 15 anni, mentre nei giorni scorso è stato il gruppo Azione-Italia Viva a presentare alla Camera una proposta legislativa che preveda l’iscrizione a Facebook, Instagram, TikTok e altri social solo col consenso dei genitori per chi ha tra i 13 e i 15 anni.