Cecilia Sala, giornalista de il Foglio e podcaster di Chora Media, è stata arrestata lo scorso 19 dicembre a Teheran. Si trovava in città da circa una settimana per svolgere ricerche. Come sempre, le storie dei protagonisti incontrati sul suo percorso e di quello che vedeva intorno a lei venivano raccontate quotidianamente nel suo podcast. Tra i racconti che è riuscita a pubblicare, c’erano storie sul patriarcato nel paese e sulla comica iraniana Zeinab Musavi, arrestata dal regime per sketch troppo audaci. Ma anche interviste, come quella a Hossein Kanaani, uno dei fondatori delle Guardie rivoluzionarie.

Non sono ancora chiare le motivazioni del suo arresto, visto che era giunta nel paese con un regolare visto per la stampa che ne tutelava gli spostamenti e la libertà di comunicazione. Anche per questo la famiglia e i colleghi non hanno voluto allertare subito i media, nella speranza che la giornalista potesse essere rilasciata il prima possibile. Ma così non è avvenuto. Stando a quanto comunicato, infatti, Cecilia Sala è ancora in cella. Le autorità iraniane ne hanno ordinato l’isolamento nel carcere di Evin a Teheran, struttura dei dissidenti iraniani e cittadini stranieri.

Cecilia Sala, l’arresto in Iran

Il team di Chora Media si è preoccupato già nel pomeriggio di giovedì 19. La giornalista avrebbe avuto diversi appuntamenti (a cui non si è presentata) e inviare la puntata, già registrata, del suo podcast. La sua mancata consegna, mai avvenuta in ritardo prima d’ora, era un vero unicum. Il team di Chora Media lo ha chiarito anche nel comunicato rilasciato sul profilo social, sottolineando che nemmeno nelle situazioni più astruse (in Ucraina o a Gaza) la giornalista ha mai perso un appuntamento. Dopo aver allertato il compagno di Cecilia, non ci è voluto molto prima di accertarsi che la situazione era a tutti gli effetti preoccupante. Sala non rispondeva a chiamate e messaggi da circa le ore 12.30, e nemmeno i suoi contatti in Iran avevano tracce di lei.

Il governo italiano è stato allertato quasi subito e le principali autorità sono entrate subito in stato d’allerta. Già la mattina di venerdì 20 dicembre la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il ministro degli Esteri Antonio Tajani erano al corrente della vicenda. L’unità di crisi del ministero degli Esteri italiano, i servizi di intelligence (Aise) e l’ambasciatrice italiana in Iran Paola Amadei sono stati avvisati invece la sera prima.

Le ultime notizie su Cecilia Sala

Per quasi 24 ore a Cecilia non è stato concesso di rispondere (o effettuare) chiamate. Solo venerdì – giorno in cui sarebbe dovuta tornare a Roma – ha avuto modo di avvisare la madre e il compagno. Ha spiegato di trovarsi in carcere, e cercato di rassicurare sul suo stato. Le espressioni usate in chiamata, però, risultavano strane e poco usate in italiano. Si pensa infatti che le autorità l’abbiano obbligata a leggere un testo scritto.

Nella giornata di oggi, 27 dicembre, Cecilia è stata raggiunta in carcere dall’ambasciatrice Paola Amadei, che ne ha verificato le condizioni. Per il momento le autorità italiane sia qui che in Iran si stanno occupando del caso con estrema urgenza, collaborando a stretto contatto con il team di Cecilia.

Cecilia Sala, se raccontare l’Iran è (ancora) proibito

Il silenzio dello stato iraniano fa pensare a un arresto impulsivo, volto a mettere a tacere la giornalista scomoda per il regime e – di conseguenza – le ingerenze occidentali. La situazione nello stato islamico, infatti, è sempre più preoccupante. Negli ultimi due anni, tutte le proteste cominciate con la morte di Mahsa Amini, 22enne di origine curda che aveva perso la vita a Teheran perché non portava il velo correttamente, sono state soppresse nella violenza.

Le donne, nel silenzio generale, sono ancora bersaglio di leggi oppressive e di attenzioni costanti della polizia morale, la milizia che si occupa di far rispettare la legge teocratica nello stato. Ma le ragazze non si danno per vinte. Lo dimostrano episodi come quello di Ahoo Daryaei, la studentessa che ha marciato nuda nel cortile di un’Università.

Cecilia probabilmente voleva fornire, dell’Iran come degli altri paesi in cui è stata, un ritratto completo e veritiero. Raccontare storie di coraggio, ma anche di quotidianità, che ci facessero sentire più vicini ad un mondo altrimenti sempre “straniero” e ci dessero gli strumenti per continuare a lottare al fianco dei suoi cittadini. Un popolo istruito, molto più moderno di quel che si pensa, eppure per cui la conquista della libertà è ancora un sogno lontano. Se anche le testimonianze come quella di Cecilia vengono represse e negate, l’Iran si isola sempre di più. E il suo popolo, il cui grido di libertà ci ha raggiunti ma che non abbiamo saputo ascoltare a fondo, verrà presto abbandonato.