«Il 21 settembre scorso ho preso la RU486 e 48 ore dopo sono andata in day hospital per prendere le altre due pastiglie che facilitano l’espulsione dell’embrione. Fine». A parlare è la giovane 26enne genovese Alice Merlo che racconta del suo aborto spiegando di aver avuto subito chiaro, fin dal comparire del segno sul test di gravidanza, di voler ricorrere all’Ivg e cioè l’Interruzione Volontaria di Gravidanza. Questo accadeva lo scorso settembre e oggi, a meno di sei mesi, Alice Merlo compare su tutti i cartelloni della campagna Uaar (Unione degli atei e degli agnostici razionalisti) a fare da “testimonial” alla pillola abortiva che evita il ricovero ospedaliero e l’operazione chirurgica.
«Ho abortito a settembre 2020 con la terapia farmacologica», ha raccontato la Merlo durante una diretta Instagram sul profilo @ivgstobenissimo, «Questo significa che ho preso la stessa pillola abortiva che i movimenti anti scelta avevano cominciato ad attaccare con una violenta campagna di disinformazione. Sentivo molte voci di persone che si indignavano giustamente per questa campagna, ma non sentivo voci di persone che avessero effettivamente preso la RU486 e che si mettessero a fare da testimonial all’efficacia di questa pillola abortiva. Perciò l’ho fatto io con un post su Facebook».
L’idea che l’aborto farmacologico sia una conquista da difendere perché capace di rivoluzionare la salute riproduttiva delle donne non è ancora un fatto accettabile in Italia, dove viene scelta solo nel 20% dei casi, al contrario di Francia o Svezia dove la percentuale arriva addirittura fino al 90%, come rivelano i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Nel nostro Paese sono ancora molti i pregiudizi legati a questa opportunità.
E Alice Merlo, cercando di demolire proprio questi pregiudizi è stata duramente attaccata sui social. Ma ha anche ricevuto affetto e sostegno: «Dire “io ho abortito e sto benissimo” è un fatto rivoluzionario in una società che dopo più di quarant’anni continua a non garantire l’accesso a questo servizio sanitario». Alice non prova né rimorso né sofferenza, «mi sono sentita sollevata, leggera, felice, grata». E sulla scelta di “metterci la faccia” dice «Ne ho parlato sempre con serenità in famiglia, con amici e colleghi. Per questo non mi sono voluta tirare indietro quando si è creata un’occasione ulteriore per parlarne».