Amy Winehouse odiava i compleanni, figuriamoci cosa avrebbe pensato degli anniversari di morte. Eppure a 10 anni dalla scomparsa – il 23 luglio del 2011, per intossicazione da alcol – è inevitabile ricordarla: magnifica e precaria come la cofana dei suoi capelli. Per l’occasione, in libreria è uscito La mia Amy, una biografia sentimentale scritta da Tyler James: coinquilino e compagno di bevute, guardiano e complice, migliore amico fino all’ultimo giorno. «Ho scritto questo libro» mi spiega al telefono «perché volevo raccontare come sono davvero andate le cose: il livello di follia che c’era nella vita di Amy mentre il mondo la vedeva trionfare ai Grammy Awards. Ma scrivendo ho anche potuto scendere a patti con il dolore, e ricominciare a vivere. In questo senso, ho seguito il suo esempio: lei usava la scrittura come terapia, diceva sempre: “Scrivilo! Scrivilo!”. È stato terribile ricordare l’orrore di quei giorni – la mia Amy sfatta di alcol e droghe, coperta dal sangue delle ferite che si infliggeva, sporca di vomito – ma anche liberatorio».
Amore a prima vista
Tyler e Amy si erano conosciuti, quando lei aveva 12 anni e lui 13, alla Sylvia Young Theater School di Londra, capitati nella stessa classe perché entrambi non sapevano ballare. «Abbiamo fatto subito clic: è stato amore a prima vista. Amy era la mia anima gemella, era tutto per me. E aveva una straordinaria capacità di accudire gli altri, anche nei momenti più bui. Si è presa cura di me nei periodi peggiori della mia dipendenza, e accanto a lei mi sono sempre sentito amato».
Amy si occupava con affetto anche di Dionne Bromfield, la figlia allora 12enne della sua amica Julie: le pagava la scuola, incoraggiava la sua carriera, e quando in giro c’era lei, a tutti veniva impedito di prendere droghe (nei giorni dell’anniversario va in onda su Mtv e VH1 Amy Winehouse & Me: Dionne’s Story, un documentario dedicato proprio al loro rapporto).
La Amy pubblica e la Amy privata
La Amy privata, che prende forma tra le pagine del libro, è difficile da conciliare con la sua immagine pubblica, tutta genio e sregolatezza, costantemente braccata dai paparazzi. Dopo il debutto con l’album Frank nel 2003, e la prima esperienza con il circo forsennato dell’industria discografica, per tenere a bada ansia e infelicità era diventata una maniaca delle pulizie: «Stava sveglia tutta la notte a pulire, con la sua tuta Adidas, ad ascoltare musica con indosso i suoi guanti Marigolds, con spray detergenti, strofinacci e canovacci». Aveva cominciato a bere tutti i giorni, ma era «una persona profumata», con una passione per lo shampoo alla fragola. Lavava la lingerie a mano nel lavandino e nella sua testa, scrive Tyler, «era una casalinga degli anni ’50». Sfortunatamente lo era anche nel cuore: aveva un debole per gli uomini rudi e una certa tendenza alla sottomissione.
L’incontro con Blake Fielder-Civil – «Bello, trasandato, si faceva di coca nei bagni, era un poco di buono e un duro che sapeva fare a pugni» – si rivela fatale: lui la inizia alle droghe pesanti, lei perde la testa. «Amy non credeva nelle relazioni sane, l’aveva detto un milione di volte: “Se è sano, non è amore”. Era convinta che il vero amore fosse solo caos, tragedia e follia».
«La fama è un cancro terminale»
È in fondo al baratro della co-dipendenza che nel 2006 Amy compone Back to Black, seduta sul pavimento della cucina, partendo da poesie appuntate su un taccuino – «Scrivilo! Scrivilo!» – accanto a cuoricini e disegni di pin-up. Ha 22 anni e un talento irripetibile. Il disco «trasuda dolore»: è un successo planetario. La celebrità che ne consegue è la sua condanna. «Amy diceva sempre che “la fama è un cancro terminale” ed è vero: diventare così tanto famosi, in così poco tempo, è un’esperienza sconvolgente.
«Per tenere a bada ansia e infelicità era diventata una maniaca delle pulizie. Non aveva controllo sulla sua vita»
Lei non aveva il minimo controllo sulla sua vita: nessuna privacy, nessuna libertà, nessuna responsabilità. Viaggiava in jet privato ma non poteva andare a fare la spesa sotto casa: la cosa più ribelle che abbiamo fatto, una volta, è stata scappare per prendere la metropolitana saltando i tornelli. Sembra una storia buffa, ma è drammatica. Soprattutto considerando che, quando devi mantenerti sobria, l’unica cosa che ti serve davvero è la libertà». Ma “Amy Winehouse” era diventata un marchio, un’azienda che arricchiva molti, e nessuno voleva fermare la macchina.
Divorzio, droghe e alcol
Dopo il divorzio da Blake, Amy smette con le droghe pesanti e prova a rimettersi in sesto. Alterna periodi di relativa sobrietà a pericolose ricadute, il suo corpo è consumato dall’alcol e dalla bulimia. Avvia anche una storia con il regista Reg Traviss, un altro segnale del suo disperato bisogno di normalità. I medici la implorano perché smetta di bere, i discografici perché ricominci a suonare. Quando nel giugno del 2011 la costringono a un tour europeo, lei si ubriaca fino all’incoscienza: il racconto di come viene portata di peso sul palco del concerto, a Belgrado, è straziante. Tyler le rimane sempre accanto, sostituisce lo champagne nelle bottiglie con acqua frizzante, infine la convince ad annullare la tournée nonostante le ire del management.
Le ricadute e la morte a 27 anni
Tornati a Londra, si stabilisce una tragica routine: «Stava 3 settimane senza bere, ci ricadeva per 4 giorni, poi di nuovo 3 settimane sobria». A ogni ricaduta, per spaventarla Tyler se ne va per qualche giorno. Lo fa anche la sera del 21 luglio, e puntualmente il giorno dopo Amy lo chiama: «Per favore, torna a casa». Domani, promette lui. Ma quando arriva è troppo tardi: Amy è morta, nel suo letto, accanto al suo pc e a 2 bottiglie vuote di vodka. Ha 27 anni, e una concentrazione letale di alcol nel sangue.
«Non ho rimpianti» confida oggi Tyler, definitivamente sobrio, a 10 anni da quel dolore che resta come «una cicatrice che ti porti dietro per sempre». La famiglia Winehouse non ha apprezzato il libro, ma lui sente di avere una responsabilità solo nei confronti della sua amica: del suo ricordo, della sua dignità. Vuole raccontare chi era Amy Winehouse, quanto valeva, e com’è successo che, nonostante gli sforzi per salvarla, sia precipitata via. «Dopotutto lei per me avrebbe fatto lo stesso».