È successo quasi per caso, un poco per volta. Uscito con discrezione a febbraio, L’Arminuta di Donatella Di Pietrantonio è diventato grazie a uno straordinario passaparola il romanzo del momento. Quello di cui parli con gli amici e che vedi leggere perfino in treno, dove ormai i libri sono quasi spariti. E quello che ha da poco vinto il Premio Campiello. L’Arminuta, “la Ritornata” in dialetto abruzzese, narra la storia di una ragazzina che tra anni ’60 e ’70 viene restituita ai genitori dalla famiglia che l’ha “informalmente” adottata (la legge sull’adozione arriverà nel 1983). Siamo in un’Italia proiettata verso la modernità, ma in cui sopravvivono sacche di arretratezza economica e culturale. «Quando ero piccola gli adulti raccontavano di bambini che le famiglie povere e numerose cedevano a coppie sterili perché li crescessero. Il romanzo è nato dal ricordo di queste storie e dal mio interesse per i temi della maternità e della relazione madre-figlia» spiega l’autrice.
«Scrivo alle 5 di mattina»
Un viso che suscita empatia, le parole calme e misurate, Donatella Di Pietrantonio, 55 anni, di professione fa la dentista. E il non essere un’autrice a tempo pieno le consente una certa libertà creativa, le permette di rimanere ancorata alla realtà. «Scrivo perlopiù dalle 5 alle 7 di mattina, quando in casa tutti dormono, anche il cane e i gatti. Ma non sempre, solo quando ho qualcosa da raccontare. Non sono una scrittrice metodica». Ha studiato all’università dell’Aquila e oggi vive nel centro storico di Penne, in provincia di Pescara, ma l’infanzia l’ha passata in un piccolo borgo ai piedi delle montagne abruzzesi. «In un ambiente dove il senso del dovere e il sacrificio erano valori molto forti. Le donne lavoravano nei campi di giorno e la sera, quando scendeva il buio, rientravano in casa e sbrigavano le faccende. Il tempo per stare con i figli, il tempo per le coccole, era molto limitato. E noi bambini trascorrevamo le giornate in questo continuo desiderio di madre».
«Tiro fuori ciò che mi agita»
Da quell’esperienza, aspra e dura, è nata L’Arminuta. E senza televisione, fra quei monti, è nata la sua passione. «Scrivevo sempre, proprio sempre» rivela. «Era vitale per me, ma allo stesso tempo non ci credevo abbastanza. Vivevo la scrittura con un senso di colpa, in solitudine». Fino al 2011 quando, a 49 anni, ha deciso di provare a pubblicare il primo libro, Mia madre è un fiume. «Scrivere è un modo di tirare fuori ciò che mi agita e mi addolora. Ora che ho dei lettori, anche per condividere contenuti personali». Ma perché questo senso di colpa? «Perché mi sembrava un azzardo rispetto alle mie origini. Lo sentivo come una specie di tradimento, difficile da spiegare in famiglia. Ancora oggi per mio padre, che ha 80 anni, è incomprensibile il fatto che io scriva, è qualcosa che non appartiene al suo mondo. Però certo che è contento!».