Siamo nel bar di un albergo milanese e Guido Caprino ordina un croissant. «Scelga quello che le piace di più» dice al cameriere. Una frase apparentemente insignificante, che però racconta alla perferzione questo attore nato a Taormina 45 anni fa: schivo, timido, quasi preoccupato di farsi notare. La popolarità l’ha raggiunta in tv nel 2009 con Il commissario Manara. Poi un po’ di cinema (Noi credevamo di Mario Martone, Fai bei sogni di Marco Bellocchio) e tante altre serie, da 1992 a Romanzo famigliare. La prossima è Il miracolo, esordio tv dello scrittore Niccolò Ammaniti, in onda il martedì in prima serata su Sky Atlantic. Caprino interpreta Fabrizio Pietromarchi, presidente del Consiglio che deve decidere se rendere conto al Paese di un fatto straordinario: una Madonna che lacrima sangue trovata nel covo di un boss della ’ndrangheta.
La serie è misteriosa, intrigante, ti tiene incollato alla tv fin dalla prima scena.
Mi fa piacere sentirtelo dire: non l’ho ancora vista.
Ma come?
Non mi riguardo mai, magari ci provo dopo un anno. Preferisco osservare la reazione degli altri. E voglio dimenticarmi il set: mentre recito mi faccio un’idea del risultato finale e, se poi non è così, ci resto male. Anche quando è migliore di come me l’ero immaginato.
Stavolta interpreti un politico molto contemporaneo, che mi ha ricordato Emmanuel Macron.
Ho cercato di non cadere nello stereotipo. Non esiste una “faccia da presidente”. Mi piaceva il conflitto umano alla base di Fabrizio. E il fatto che la sua sia una figura con qualcosa di sacro: il premier è un politico, ma è inevitabile pensare che ci sia dietro un’investitura più alta, quasi una predestinazione. Forse è il personaggio più difficile che mi sia capitato.
Diversificare sembra il tratto principale del tuo percorso.
Interpretare ruoli così diversi è una fortuna. Mi do una pacca sulla spalla da solo: è merito dei molti no che ho detto all’inizio della mia carriera. Di solito resti legato al primo personaggio, nel mio caso Manara. Mi hanno offerto almeno altri 15 commissari, ho sempre rifiutato. Perciò, forse, ora si pensa a me per parti che non c’entrano nulla l’una con l’altra.
Il che ti rende abbastanza irriconoscibile, e sembra non dispiacerti.
Affatto. Mi concedo molto come attore, ma proteggo ferocemente la mia privacy. Io per primo non leggo mai le interviste ai miei divi preferiti, voglio mantenere intatta la fantasia di spettatore. Di Robert De Niro so solo che aveva un padre pittore, e mi basta.
Se l’ha detto De Niro, puoi raccontarci anche tu cosa fa tuo padre.
Ci sto: è un agronomo.
Tu invece sei un odontotecnico.
Ho fatto quegli studi perché un diploma bisogna prenderlo. Ma non sono un attore per caso, come riportano molte interviste. Questa strada l’ho cercata. La scintilla si è accesa durante un laboratorio teatrale con mio cugino, che aveva una piccola compagnia. Poi ho studiato recitazione a Milano. Insomma, è stato tutt’altro che casuale, mi sono fatto un discreto culo (ride, ndr).
Sei stato anche modello.
Come James Dean e Brad Pitt! (ride di nuovo, ndr). Era un modo per mantenermi, ed è stata una grande lezione di vita: ho imparato le lingue, girato il mondo, costruito un bagaglio utile al mio mestiere. Vivevo con la valigia: è stato un po’ come fare il marinaio, il lavoro dei miei sogni da bambino.
Essere bello è un vantaggio o un limite per un attore?
Ormai non mi definiscono più così molto spesso: devo preoccuparmi? (altra risata, ndr). All’inizio è stato un limite per il percorso che avevo in mente. Non volevo cristallizzarmi nel personaggio di Manara: un vero “femminaro”, come diciamo in Sicilia.
Non ti chiedo se sei un “femminaro” anche nella vita reale.
No, ti prego!
Allora ti faccio la domanda che di solito si rivolge alle donne: visto che spesso interpreti dei padri, a un figlio tuo ci pensi?
Sono naturalmente portato verso i bambini, ho una propensione a essere protettivo. Quindi, tutto sommato, direi di sì: mi vedrei bene in quel ruolo.
Tornando ai miracoli, hai un lato spirituale?
Non sono religioso, ma comprendo l’importanza di esserlo. Ho scelto di vivere in campagna, vicino a Taormina, perché il mio modo di pensare è affine a quello degli indiani d’America: la natura come madre e noi come figli che dovrebbero rispettarla, riconoscendole una sorta di divinità.
Non ti vedremo mai su Instagram, magari in un selfie dai tuoi campi assolati?
Non credo (sorride, ndr). Però faccio moltissime foto. Come unica concessione tecnologica, potrei finalmente installare Internet in campagna, almeno per guardare le serie tv. Non le mie: quelle degli altri!