Sembra uno scherzo della Storia. Nel 1968, anno del maggio francese e delle proteste giovanili, la fantasia non è al potere – come diceva lo slogan – ma in mezzo al mare, al largo di Rimini, in un luogo e un’avventura folle che quasi nessuno ricorda. Un ingegnere bolognese che oggi definiremmo “nerd”, Giorgio Rosa, realizza il suo sogno di libertà: riesce a installare una piattaforma artificiale di 400 metri quadrati fuori dalle acque territoriali italiane, ci costruisce un bar e un paio di stanze, progetta di alzarla fino a 5 piani e il 1° maggio, con un pugno di complici, la battezza “Insulo de la Rozoj”, proclamandola Nazione indipendente con tanto di governo, ambasciatore, francobolli e lingua ufficiale, l’esperanto. Scatenando così un putiferio internazionale.
«Sono rimasto sbalordito quando ho letto in Rete la vicenda di questo tipo che, in mezzo all’Adriatico, fa un casino che rimbalza tra Roma, Strasburgo e New York» dice Sydney Sibilia, già autore di Smetto quando voglio, che ne ha tratto per Netflix il film L’incredibile storia dell’Isola delle rose, con Elio Germano nel ruolo del progettista visionario e Matilda De Angelis in quello della futura moglie. A costruire l’atollo di ferro che attrae curiosi e turisti, Giorgio Rosa ci arriva con anni di studi e ostinazione. «Ci mette pure dei soldi, oltre a un discreto “sbattone”, e quando realizza finalmente l’opera ha già 43 anni» continua il regista, che sullo schermo ha centrifugato in tempi più stretti l’impresa dell’ingegnere, scomparso 3 anni fa.
La richiesta presentata all’Onu e alla Comunità europea per riconoscere l’isola come micronazione diventa una grana per l’allora presidente del consiglio Giovanni Leone (interpretato nel film da Luca Zingaretti). Il governo democristiano non tollera la fondazione di uno Stato libero, e forse libertino, davanti alle coste italiane. Le ipotesi più disparate allarmano i politici. C’è chi ci vede un covo di giovani fricchettoni con ragazze in topless e chi lo zampino spionistico di Russia e Cina, chi teme l’apertura di un casinò e chi uno stratagemma per piazzare i sottomarini della Jugoslavia comunista.
«Il film è un po’ romanzato ma le cose più assurde sono successe davvero» continua Sibilia. «Ed erano così tante che ho dovuto sacrificarne parecchie. A scrivere la costituzione in esperanto, per esempio, era stato un prete chiamato Don Aviostop perché riusciva a volare gratis da una missione all’altra in Africa». I protagonisti principali, però, ci sono tutti: il migliore amico di Rosa in fuga dall’azienda di famiglia, il tedesco poliglotta che porta i turisti in visita, il misterioso naufrago che diventa abitante dell’isola con la coppia che gestisce il bar.
La repubblica esperantista, tuttavia, ha vita breve. Il 26 giugno 1968 viene occupata dalla polizia e nel febbraio 1969 viene demolita. Ma sulla costa romagnola è ancora leggenda, per chi la ricorda davvero e chi ci ricama su, tant’è che nel 2009 il giornalista Giuseppe Musilli ha cercato la verità attraverso testimonianze, foto e video. Ne è uscito un libro allegato a un documentario: L’isola delle Rose – Insulo de la Rozoj. La libertà fa paura (Edizioni Interno 4). «È un longseller, soprattutto qui in Emilia Romagna» dice l’autore, che ancora ride di gusto a ricordare le piccole e grandi follie scoperte durante la sua ricerca. «Pur vivendo a Rimini non conoscevo la storia, finché uno di quei fotografi detti “scattini”, che negli anni ’60 giravano coi pappagalli per fare foto alle famiglie in spiaggia, mi ha parlato di quel groviglio di ferro diventato un’attrazione. Nell’estate del ’68 i barcaioli avevano finalmente una gita da proporre ai turisti, altrimenti dove li porti, dicevano, qui mica siamo a Capri».
C’èra chi ci vedeva un covo di ragazze in topless e chi lo zampino di Russia e Cina, chi temeva l’apertura di un Casinò e chi un modo per piazzare i sottomarini della Jugoslavia
Musilli raccoglie immagini inedite, articoli e vignette, oltre a racconti esilaranti. «Con il regista del documentario abbiamo rintracciato il tedesco Rudy Neumann, che ora vive a Monaco e conserva le lettere indirizzate al “Libero territorio”: i postini non sapevano dove diavolo portarle così le davano a lui, l’ambasciatore del gruppo, conosciuto perché gestiva anche degli alberghi a Cervia. C’era gente che chiedeva di acquistare appezzamenti del nuovo Stato, un ambasciatore americano che voleva comprarne i fracobolli. Abbiamo trovato il colonnello che si era occupato della demolizione, un preciso che ha tenuto il fascicolo e ne aveva fatto un caso di studio per la Marina militare. E poi l’ex custode dell’isola, Pietro Bernardini, che ci guadagnava su: portava dei ricchi imprenditori ad appartarsi sull’isola con la segretaria e vendeva souvenir a forma di piattaforma che aveva fatto fare lui stesso in ceramica».
Il ’68 è solo una coincidenza anagrafica fra l’Isola delle Rose e la contestazione? L’attore Elio Germano, che dà il volto all’ingegnere nel film, dice: «All’epoca erano tutti in gara a chi la faceva più strana. Questa storia non racconta tanto un’impresa ideologica ma la spinta a fare qualcosa di originale, unico e grande». Mentre il regista Sydney Sibilia ammette: «La coincidenza storica mi ha colpito. Perché mentre migliaia di ragazzi infiammavano le piazze di Parigi in nome di un mondo migliore, Giorgio Rosa realizzava la sua utopia che è pur sempre un sogno di libertà. Dimostrando che ognuno di noi, se non gli piace questo mondo, può sempre inventarsene uno tutto suo».