L’Italia fa registrare un nuovo record negativo per la natalità: nel 2021 i nati scendono a 400.249 (-4.643 sul 2020). Lo segnala un report Istat secondo cui la denatalità sembra destinata a proseguire anche nel 2022. I dati provvisori, riferiti al periodo gennaio-settembre, indicano infatti 6mila nascite in meno rispetto allo stesso periodo del 2021. Ma perché in Italia le donne fanno sempre meno figli?
Diminuisce la popolazione femminile in età feconda
Il fenomeno della denatalità in Italia è in parte dovuto agli effetti indotti dalle modificazioni della popolazione femminile in età feconda, convenzionalmente fissata tra 15 e 49 anni.
In questa fascia di popolazione, le donne italiane sono sempre meno numerose. Da un lato, le cosiddette baby-boomers (nate tra la seconda metà degli anni ’60 e la prima dei ’70) sono quasi del tutto uscite dalla fase riproduttiva. Dall’altro, le generazioni più giovani sono sempre meno consistenti.
Queste ultime scontano l’effetto del cosiddetto baby-bust, ovvero la fase di forte calo della fecondità del ventennio 1976-1995, che ha portato al minimo storico di 1,19 figli per donna nel 1995 (oggi siamo a 1,25).
Invecchia il profilo della popolazione straniera residente
A partire dagli anni duemila l’apporto dell’immigrazione, con l’ingresso di popolazione giovane ha parzialmente contenuto gli effetti del baby-bust. Ma l’apporto positivo dell’immigrazione sta lentamente perdendo efficacia man mano che invecchia anche il profilo per età della popolazione straniera residente.
Dal 2012 al 2021 sono diminuiti i nati con almeno un genitore straniero (21.461 in meno) che, con 85.878 unità, costituiscono il 21,5% del totale dei nati.
Le boomers straniere, che hanno fatto il loro ingresso come immigrate a inizio secolo, hanno realizzato nei dieci anni successivi buona parte dei loro progetti riproduttivi, contribuendo all’aumento delle nascite.
Ma le straniere residenti, che finora hanno parzialmente riempito i “vuoti” di popolazione femminile ravvisabili nella struttura per età delle donne italiane, stanno a loro volta invecchiando.
Meno matrimoni, meno figli
A incrementare il fenomeno della denatalità in Italia sono soprattutto le nascite all’interno del matrimonio, quasi 20 mila in meno rispetto al 2020 e 223 mila in meno del 2008 (-48,2%).
Ciò è dovuto innanzitutto al forte calo dei matrimoni, protrattosi fino al 2014 (con 189.765 eventi a fronte dei 246.613 del 2008).
Va aggiunto che nel 2020 la pandemia ha indotto molte persone a rinviare o a rinunciare alle nozze al punto da far sì che il numero dei matrimoni si sia pressoché dimezzato (-47,4%).
Forte impatto della pandemia sulla denatalità
La discesa marcata delle nascite osservata nel bimestre novembre-dicembre 2020 (-9,5% rispetto allo stesso periodo del 2019) è proseguita nei primi mesi del 2021. A gennaio il più ampio calo mai registrato (-13,2%) lascia ben pochi dubbi sul ruolo svolto dall’epidemia.
Il crollo delle nascite tra fine 2020 e inizio 2021 è infatti riferibile ai mancati concepimenti della prima ondata pandemica. Complessivamente, nei primi dieci mesi del 2021 il trend è lievemente decrescente rispetto allo stesso periodo pre-pandemico dell’anno precedente (-3,3%). Unica eccezione la lieve ripresa nella primavera, dovuta ai nati concepiti durante la fase di transizione tra le due ondate epidemiche del 2020.
Nell’ultimo bimestre del 2021 si verifica un aumento delle nascite (+10,6%) che evidenzia un recupero rispetto al crollo innescato dalla pandemia (+7,0% a novembre e + 14,3% a dicembre). Nel 2022, considerando i dati provvisori dei primi nove mesi, si registra un calo del 2,2%.
Posticipo di maternità soprattutto per le donne più giovani
La denatalità in Italia è condizionata anche dalle variazioni nella cadenza delle nascite rispetto all’età delle madri. In questo scenario è interessante osservare come abbia agito la crisi sulle scelte riproduttive di una popolazione che diventa genitore sempre più tardi.
Nel periodo gennaio-ottobre 2021 la contrazione dei nati riguarda soprattutto le giovanissime (-9,7% per le donne fino a 24 anni) e le età più avanzate da 45 anni in poi (-18,3%)
Nell’ultimo bimestre, invece, l’aumento più marcato riguarda le donne con più di 45 anni le cui nascite ritornano quasi ai livelli pre-pandemici. Tale incremento può essere messo in relazione alla possibilità di fare nuovamente ricorso alla procreazione medicalmente assistita. Il ricorso a tali tecniche, infatti, è molto diffuso a partire dai 40 anni, e in particolar modo tra chi ha più di 45 anni.
In media in Italia si diventa madri a 31,6 anni
Confrontando i tassi di fecondità per età del 1995, del 2010 e del 2021 si osserva uno spostamento della fecondità verso età sempre più mature.
Rispetto al 1995, l’età media al parto aumenta di oltre due anni, raggiungendo i 32,4 anni. In misura ancora più marcata cresce anche l’età media alla nascita del primo figlio, che si attesta a 31,6 anni nel 2021 (oltre 3 anni in più rispetto al 1995).
Le regioni del Centro sono quelle che presentano il calendario più posticipato (32,8 anni). Le madri residenti nel Lazio, ad esempio, hanno un’età media al parto pari a 32,9 anni, quelle del Molise a 32,8, superate solo da quelle della Basilicata e della Sardegna (33 anni).