Ogni anno nel mondo si effettuano 73 milioni di aborti, ma poco meno della metà non avviene in modo sicuro. I dati sono dell’Organizzazione mondiale della Sanità, secondo cui addirittura un terzo delle interruzioni di gravidanza è praticato da personale non istruito che utilizza metodi pericolosi per le donne che la chiedono. In molti casi, poi, è difficile persino accedervi e questo capita anche in Italia. Nel 2020, le interruzioni di gravidanza sono state 66.413, mentre gli aborti clandestini sarebbero tra i 10mila e i13mila: tanti, troppi, soprattutto se si pensa che sono passati 45 anni dall’entrata in vigore della legge 194/78 sull’aborto stesso. Da qui l’importanza della sensibilizzazione, che giunge in occasione della Giornata internazionale per l’aborto sicuro, che ricorre il 28 settembre.

Non solo femminicidi: l’appello per l’aborto sicuro

Dopo un’estate caratterizzata da tanti femminicidi e violenze, neppure l’autunno sembra voler far dimenticare forme vecchie e nuove di violenza contro le donne, come il mancato accesso all’interruzione di gravidanza: «La mancata applicazione della legge 194/78 sull’aborto è di fatto una violenza contro le donne: impedisce l’accesso a una legge dello Stato che garantisce la libertà di scelta», sottolinea la presidente di D.i.Re-Donne in Rete contro la Violenza, Antonella Veltri. Da qui un’iniziativa di sensibilizzazione sul tema, promossa insieme a Babbel, la piattaforma per l’apprendimento delle lingue. L’obiettivo è dare il giusto significato e valore alle parole, quelle poco conosciute o poco usate perché considerate veri e propri tabu.

Aborto sicuro: cosa vuol dire?

Cosa significa oggi, quindi, parlare di aborto sicuro? Cosa si intende? «Oggi significa dare piena applicazione alla legge 194 sulla maternità consapevole. La sicurezza dell’interruzione di gravidanza, infatti, dipende dalla suddivisione del Servizio sanitario nazionale», spiega Veltri. Spesso, infatti, l’accesso ai servizi di interruzione di gravidanza è differente da Regione a Regione e in molti casi è ancora poco accessibile. Ma non solo: «La “demolizione” dei consultori, inoltre, sicuramente non aiuta», aggiunge la presidente di D.i.Re.

La situazione in Italia: ancora troppi aborti clandestini

La libertà di accesso all’aborto è un diritto sancito, in Italia, dalla Legge 194/78, che permette di interrompere volontariamente la gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione, che sia per motivi di salute, economici, sociali o familiari. Nonostante si tratti di una conquista ormai datata, sono ancora tante le criticità. Secondo l’ultima Relazione del ministro della Salute uno degli ostacoli principali è l’obiezione di coscienza: i ginecologi e le ginecologhe che si rifiutano di praticare l’aborto per motivi etici sarebbero il 64,6% del totale, ossia molto più della metà. A loro si aggiungono anche anestesisti e anestesiste (44,6%) e il personale non medico (32,6%).

Negare l’aborto è una forma di violenza

I numeri, dunque, parlano chiaro: le donne che scelgono di interrompere la gravidanza indesiderata non devono sfidare solo tabu difficili da cancellare o la paura di essere giudicate, ma anche l’impossibilità di trovare personale medico disposto a praticarla. «Non si tratta solo di percezione sociale o tabu, ma del fenomeno incontrollato dell’obiezione di coscienza che in molti territori d’Italia rende impossibile l’aborto nelle strutture pubbliche, rischiando di portare le donne che non possono permettersi di accedere alle strutture private alla pericolosa clandestinità delle nostre nonne», denuncia Veltri.

L’importanza delle parole

Per abbattere queste barriere occorre dunque lavorare su alcuni aspetti sociali a partire dall’importanza dei termini utilizzati e del loro significato. «Talvolta vengono usate parole e portate avanti campagne che colpevolizzano le donne che scelgono di abortire, trattandole da criminali», conferma Veltri. Per questo D.i.Re ha deciso di aderire alla campagna di sensibilizzazione di Babbel, perché «la libertà passa anche dalla consapevolezza e dalla conoscenza». «La conoscenza del linguaggio tecnico adoperato quando si parla di sistema sanitario e procedure mediche può servire, in questo contesto, non solo a orientarsi all’interno del dibattito e a prendervi parte, ma anche – e forse soprattutto – a far valere i propri diritti e a difendere quelli delle altre persone», chiarisce Sara Garizzo, Principal Content Strategist di Babbel. «Le parole possono, ad esempio, veicolare bias (cioè discorsi d’odio) non sempre immediatamente percepibili e condizionare l’opinione pubblica. La precisione linguistica contribuisce quindi a garantire che gli individui possano prendere decisioni informate e impegnarsi in discussioni significative», aggiunge Garizzo.

Il dizionario sull’aborto: termini e significati

Ecco il mini dizionario messo a punto da Babbel e D.i.Re in occasione della Giornata internazionale per l’aborto sicuro.

IVG: si tratta dell’acronimo di “interruzione volontaria di gravidanza”, il termine medico utilizzato per definire il ricorso alla conclusione della gestazione per ragioni esogene entro la ventesima settimana di gravidanza. L’IVG può essere eseguita mediante due modalità, quella farmacologica e quella chirurgica.

Aborto farmacologico: avviene con la somministrazione della pillola abortiva o Mifepristone, nota anche con la sigla “RU486”, dal concepimento fino alla nona settimana di gestazione. Il farmaco può essere assunto sia in una struttura medica autorizzata sia in autonomia. La pillola abortiva non deve essere confusa con la “pillola del giorno dopo”, un tipo di contraccettivo di emergenza da assumere per prevenire una gravidanza – e quindi non per causare un aborto – a seguito di un rapporto non protetto, entro le 72 ore dallo stesso; essa non è considerata come una metodologia di contraccezione regolare e, pertanto, ne si consiglia l’utilizzo solo in caso di emergenza.

Aborto clinico chirurgico: questa tipologia di aborto viene effettuata – generalmente a partire dalla nona settimana ed entro i 90 giorni (salvo casi eccezionali particolarmente gravi) – tramite un intervento chirurgico, il raschiamento della cavità uterina.

Aborto elettivo o volontario: si utilizza questo termine per riferirsi alle IVG la cui motivazione principale non dipende necessariamente da ragioni mediche, ma personali e/o sociali.

Aborto terapeutico: nel caso in cui l’interruzione di gravidanza comporti rischi per la salute della madre oppure del feto, l’aborto, effettuato entro la ventesima settimana di gestazione, è descritto come “terapeutico”. Tuttavia, nonostante il limite temporale, l’aborto terapeutico può avvenire anche oltre i 90 giorni dal concepimento tramite la modalità chirurgica.

Aborto spontaneo: con questo termine si indicano interruzioni di gravidanza non indotte tramite la chirurgia o i farmaci, ma che avvengono “naturalmente” nei primi 180 giorni di gravidanza (più comunemente si verificano nei primi tre mesi). Inoltre, ci sono due sottocategorie di aborto spontaneo: può essere “completo” se caratterizzato dall’espulsione totale dell’embrione o del feto privo di vita, oppure “incompleto” o “ritenuto” se l’espulsione è solamente parziale o se l’embrione o il feto, sebbene siano privi di attività cardiaca, sono presenti completamente all’interno della cavità uterina. Quando poi il feto non è più in vita, ma l’organismo non riconosce la perdita della gravidanza, l’aborto spontaneo è definito come “silente” (in inglese si utilizzano gli aggettivi “silent” e “missed”, traducibili come “silente” e “perso”): in questi casi la placenta continua a rilasciare ormoni e, di conseguenza, non è possibile rintracciare i sintomi più comuni di aborto spontaneo come sanguinamento vaginale, dolorosi crampi ed espulsione del tessuto fetale.

Consultorio familiare: istituiti nel 1975, sono strutture socio-sanitarie di assistenza presenti sul territorio italiano volte a favorire l’educazione alla maternità e paternità responsabili, prevalentemente rivolte alla salute e ai bisogni fisio-psicologici delle donne e di chi si trova in difficoltà socio-economiche. L’accesso è diretto, senza prescrizione del medico di famiglia e, per quel che riguarda i minori, senza l’autorizzazione dei genitori. Sebbene i consultori pubblici siano più diffusi e conosciuti, esiste anche una rete di consultori privati.

Obiezione di coscienza: con questo termine si fa riferimento al rifiuto ad ottemperare ad obblighi e doveri imposti dal sistema giuridico italiano qualora si giudichino inconciliabili con le proprie norme morali, etiche e religiose; nel caso dell’aborto, per esempio, il personale medico può rifiutarsi di effettuare la procedura; anche se lo Stato dovrebbe garantire sempre e in tutte le strutture medico-sanitarie l’accesso all’IVG, si stima che siano ben 22 gli ospedali con il 100% di obiezione (tra ginecologi/ginecologhe, anestesisti/e, personale infermieristico e OSS) e 72 quelli in cui la percentuale di obiezione è superiore all’80%5.

Diritti sessuali e riproduttivi: il diritto alla salute è un diritto fondamentale e universale. La salute non deve essere intesa solo come salute fisica o assenza di patologie, ma anche come stato di benessere generale: fisico, psicologico e sociale. La salute sessuale e riproduttiva è compresa in questo concetto. La legge 194 riprende questo principio, garantendo il diritto alla “procreazione cosciente e responsabile”. Ognuna ha il diritto di scegliere se e quando avere figli, senza che le loro scelte ostacolino in nessun modo il raggiungimento dei loro obiettivi. In virtù di questo principio il Sistema Sanitario garantisce ad ogni donna la possibilità di scegliere e il supporto necessario a sostenerla senza mai esercitare alcun giudizio.

Autodeterminazione: il diritto all’autodeterminazione si concretizza nel diritto di scegliere liberamente se sottoporsi a pratiche che coinvolgono il proprio corpo e le proprie aspettative di salute e di vita. Questo diritto è sancito dall’articolo 32 della Costituzione italiana: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.

Libertà di scelta: qualunque tipo di pratica medica deve ottenere il consenso informato del/della paziente per poter essere svolta. L’articolo 1 comma 1 della legge 219/2017 stabilisce che “nessun trattamento sanitario può essere iniziato o proseguito se privo del consenso libero e informato della persona interessata, tranne che nei casi espressamente previsti dalla legge”. Il consenso informato deve essere documentato e devono essere fornite informazioni chiare e sincere ai/alle pazienti.