Che colpa ha un bambino se la sua mamma si trova in carcere? È giusto che anche i piccolissimi scontino la pena insieme alle loro mamme? Di sicuro è giusto chiederselo e, mentre ce lo chiediamo, raccogliamo la testimonianza di una mamma rinchiusa nell’Icam (Istituto a custodia attenuata per madri) di Lauro (Avellino), che racconta come la prima parola pronunciata dal suo bimbo a 18 mesi, sia stata: «Apri». 

Le donne incinte non devono stare in carcere

Ce lo riferisce il dottor Paolo Siani, direttore di Pediatria all’Ospedale Santobono di Napoli ed ex parlamentare PD. Nel governo precedente, aveva presentato una proposta di legge che, arenata, è stata poi ripresentata con la nuova legislatura, ma così rivista e peggiorata, che è stata ritirata. Proprio in questi giorni si sta lavorando in Senato al disegno di legge sulle carceri, provvedimento in cui, tra le altre cose, si vorrebbe abolire la norma che prevede il rinvio obbligatorio della pena per le donne in gravidanza: insomma, il fatto che le donne incinte non vadano in carcere. Per legge, cioè, le donne in attesa possono stare agli arresti domiciliari, a discrezione del giudice, oppure in un Icam. «Oggi il giudice può almeno scegliere se far scontare la pena alla donna incinta in carcere, o in una struttura diversa, che al momento vuol dire Icam» spiega il medico ed ex deputato, autore del libro Senza colpe, bambini in carcere (Guida ed.). «Gli Icam comunque sono essi stessi delle carceri. Certo, se ci aspettiamo le condizioni disumane di Rebibbia, questi istituti non sono paragonabili: ma dove sta scritto che il carcere debba essere disumano? Purtroppo oggi è così, tant’è che l’Italia è stata condannata più volte dalla Corte europea dei diritti dell’uomo».

Quanti sono oggi i bambini in carcere

Sappiamo perché. Basti pensare che il numero di suicidi in carcere è altissimo: fino a oggi, già 58. È anche appena uscito l’ultimo report dell’Associazione Antigone che, oltre a denunciare il sovraffollamento, racconta anche come pure gli Ipm (gli istituti di pena minorili, come per esempio quello della fiction Mare fuori) stiano esplodendo: un sovraffollamento del 106,65 per cento. Resta invece stazionario il numero delle donne recluse e dei loro bambini. «Parliamo di circa il 4 per cento dei detenuti e al momento di 26 bambini, numeri apparentemente piccoli ma che, proprio per la carenza di strutture femminili, hanno comunque un impatto forte sul sovraffollamento» spiega Valeria Verdolini, responsabile di Antigone per la Lombardia.

La chiusura del carcere femminile di Pozzuoli

«Pesante è stata la chiusura a maggio dell’istituto femminile di Pozzuoli per bradisismo. Pesante perché in Italia le strutture per le donne sono solo quattro: Rebibbia, La Giudecca, Trani e, appunto, Pozzuoli. Chiuderne del tutto uno ha voluto dire mandare in affanno gli altri» prosegue Valeria Verdolini. «Poi non si tratta solo di un calcolo matematico: l’istituto di Pozzuoli era un’eccellenza. All’interno esisteva una torrefazione, dove le donne potevano lavorare. Alcune cooperative poi assumevano anche le ex detenute. Si trattava insomma di un carcere virtuoso. Chiuderlo, nel doveroso rispetto della sicurezza, ha significato però interrompere i percorsi trattamentali, cioè tutto quell’insieme di attività, tra lavoro e studio, che possono trasformare la detenzione nell’occasione per ridefinire la propria vita, crescere e cambiare. Che è quello che dovrebbe rappresentare il carcere in Italia, per legge».

I bambini in carcere e negli Icam

In questo contesto già difficile, ci sono anche i bambini. «Al momento sono 26» dice sempre Valeria Verdolini. «Alcuni vivono con le mamme in sette carceri, provvisti di nidi nelle sezioni femminili: a Bollate per esempio ci sono tre mamme coi figli, anche a Lecce. Altri bambini vivono negli Icam, pensati per offrire una detenzione meno invasiva: somigliano a comunità, non ci sono persone in divisa o sbarre e i bambini vengono accompagnati a scuola da volontari o assistenti sociali. Ma al pomeriggio tornano pur sempre lì, e non possono uscire liberamente o ospitare gli amichetti. Di fatto, loro una casa non ce l’hanno. I numeri sono così esigui che non è difficile pensare a luoghi alternativi, come le case famiglia. In ogni caso, il bambino deve stare con la mamma, almeno i primi anni. E la mamma non può stare in carcere».

Il numero dei bambini in carcere è diminuito

Per fortuna il numero dei bambini in carcere con le mamme, negli anni è diminuito. Ma non in virtù di nuove leggi, come si legge nel rapporto di Antigone: «È stata piuttosto l’esperienza della pandemia a comportare una netta riduzione dei numeri. La consapevolezza da parte della magistratura del pericolo che il Covid-19 poteva costituire per i bambini ha fatto sì che, senza cambiamenti normativi, si applicassero le leggi già esistenti al fine di farli uscire dal carcere. Cosa che dunque si poteva fare già ben prima».

Gli studi sui bambini in carcere

Gli studi su quanto sia dannoso per un bambino passare i suoi primi anni di vita in carcere sono numerosi, come spiega il dottor Paolo Siani: «Ci sono alti rischi di ritardi motori, cognitivi, di linguaggio e relazionali: basti pensare che l’unica persona che accudisce il bambino è la mamma, e le poche persone che vede sono le altre detenute, spesso con problemi psichici. È vero che fino a sei anni i piccoli possono stare con la mamma, ed è vero che vanno alla scuola materna all’esterno, ma dopo, quando rientrano, cosa li aspetta? Niente: nessuna attività, nessuno stimolo, nessuno sport, nessuna festicciola. Perché i bambini devono scontare colpe per fatti che non hanno commesso?».

Vivere con i parenti mentre la mamma è in carcere

Se fino a sei anni il rapporto con la madre viene salvaguardato, dopo i piccoli vengono affidati a eventuali parenti. Facile immaginare però che, se la madre viene trasferita per sovraffollamento o mancanza di strutture in un carcere fuori regione, sia difficile mantenere un legame affettivo. «Purtroppo spesso anche il giudice è ostaggio del pregiudizio, per cui la mamma viene doppiamente punita privandola del rapporto con il suo bambino» dice Siani. «Ricordiamoci, per esempio, la vicenda di Eva Kaili, la presidente della Commissione europea giustamente incarcerata, che però in tre mesi ha potuto vedere la figlia piccola solo due volte». I suoi avvocati parlano di tortura e denunciano come la bambina sia stata usata come un’arma contro di lei.

La maternità non è un alibi

La maternità non è un alibi da usare a seconda della convenienza. Non lo è neanche per le mamme. Il film Ieri, oggi, domani in cui la protagonista, interpretata da Sophia Loren, con le gravidanze evitava il carcere, ha contribuito a creare uno stereotipo, estremamente radicato. Lo stesso stereotipo delle borseggiatrici incinte che stanno cavalcando i vari movimenti spontanei di giustizia fai-da-te sui mezzi pubblici. «Ma la realtà oggi è ben diversa» prosegue il dottor Siani. «Se fosse vero che così tante donne eviterebbero il carcere con le gravidanze, avremmo un aumento della natalità mostruoso. Non è così ed è una narrazione populista e strumentale a una certa politica, quella delle punizioni e della detenzione come misura primaria. Tant’è vero che oggi le carceri esplodono, gli Ipm pure, mentre le donne rappresentano ancora una minoranza. All’interno di questa minoranza, poi, quelle incinte e magari straniere e borseggiatrici – su cui più facilmente si punta il dito – sono un numero ridicolo». 

La petizione su Change.org

Per questo andrebbe stralciata la norma su donne incinte e neonati dal pacchetto sicurezza in discussione al Senato. Su change.org è stata lanciata la petizione donne e bimbi oltre le sbarre, a cui stanno aderendo giuristi, avvocati e molti personaggi dello spettacolo (tra cui l’attore Alessio Boni).

Cosa vuol dire partorire in prigione

Ricordiamoci che mandare in carcere una donna incinta ha gravi rischi. Nel rapporto di Antigone, si leggono storie che non vorremmo conoscere, come quella della «ventiseienne che all’inizio dello scorso marzo ha perso il proprio bambino nel carcere di Sollicciano a Firenze a causa di complicazioni della gravidanza. Era già accaduto nel luglio 2022 che una donna perdesse il bimbo dopo essersi sentita male nell’istituto milanese di San Vittore, così come nel marzo 2019 a Pozzuoli. A Rebibbia a Roma, invece, nell’agosto 2021 una donna ha partorito all’improvviso nella propria cella con il solo aiuto della compagna di stanza. Il suo bambino è vivo, ma che vita lo aspetta?