In un ateneo, l’Aula Magna è l’aula dei grandi appuntamenti. Proprio come Le parole che non ho (ancora) detto. Insieme contro la violenza, l’evento dell’8 marzo che ha visto la collaborazione tra Donna Moderna e l’Università Statale di Milano per una riflessione collettiva su libertà e violenza di genere. Insegnanti, studenti e studentesse, psicologici, ricercatrici, avvocate, attrici: il palco ha accolto l’esperienza e le competenze di tanti diversi esperti. Il risultato è stato un mosaico di parole, proposte concrete e spunti di riflessione. Che costituisce il primo step del nostro progetto Libere e uguali. Per una nuova idea di parità: perché è da tanti piccoli passi – come questo – che nasce la grande rivoluzione.

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Un programma di interventi, spunti, iniziative concrete

L’evento si è aperto con i saluti introduttivi del Rettore dell’Università degli Studi di Milano Elio Franzini e con la sua riflessione sul titolo dell’incontro. Che cosa si intende per “parole che non ho (ancora) detto”? «Significa trovare nuovi termini, sovvertire quell’ordine del discorso che riflette l’ordine del pensiero, che a sua volta si traduce in comportamenti e azioni. Ricercare nuovi linguaggi è fondamentale per condurre la battaglia contro la violenza». Così come lo è – soprattutto nei contesti di formazione – mettersi in ascolto dei bisogni e delle richieste provenienti dai giovani. Sono nati così alcuni dei servizi che l’Università Statale di Milano offre alla comunità studentesca. Presentati e raccontanti l’8 marzo dalle Prorettrici Marilisa D’Amico e Marina Brambilla, da un pool di esperti e dai Rappresentanti degli studenti che da anni lavorano – attraverso osservatori, cicli di incontri e azioni tangibili – per rendere il loro ateneo un vero presidio contro la violenza di genere.

Sradicare la violenza, insieme

Si tratta sempre di iniziative concrete – come il centro di ricerca Human Hall o lo sportello di ascolto psicologico “Ad alta voce” – che non si limitano a una sola giornata o a una sola componente della comunità. Perché, come ha sottolineato la Vicesindaca e Assessora all’Istruzione del Comune di Milano Anna Scavuzzo, «quella per la libertà delle donne è una sfida così grande e così profonda che non può vedere nessuno lavorare da solo». E proprio per questo anche noi di Donna Moderna abbiamo fortemente voluto che nell’Aula Magna della Statale, nella giornata dell’8 marzo, si alternassero più voci, più mestieri, più contributi. Donne e uomini. Giovani e adulti. Scienziati come artisti. Tutte e tutti, Insieme contro la violenza.

La presentazione del nostro Osservatorio sui diritti

«Celebrare la Festa della Donna – ha detto la nostra direttrice Maria Elena Viola dando inizio al talk – ci fa sentire, in un certo senso, una specie protetta. Al tempo stesso però può anche diventare l’occasione per puntare i riflettori su importanti tematiche femminili. E iniziare così a smantellare la cultura della violenza partendo dalle sue radici, cioè da tutti quei retaggi sessisti che ancora mirano a svalutare le donne». Con questa stessa intenzione, gli ospiti del talk sono saliti sul palco dell’Aula Magna della Statale, lo scorso venerdì 8 marzo. Dopo l’intervento dell’Assessore allo Sviluppo Economico Alessia Cappello sulle politiche del Comune di Milano a sostegno delle lavoratrici, la prima a prendere la parola è la ricercatrice di Swg Ludovica Leone. A lei l’importante compito di presentare e commentare i risultati del primo sondaggio del nostro Osservatorio relativo alle relazioni. Che ha indagato, tra gli altri, il tema degli stereotipi di genere, dei comportamenti abusivi tra partner, delle forme di violenza riconosciuta, della coppia.

Educazione all’affettività e dinamiche di coppia secondo i ragazzi

Rispetto a quest’ultima, per esempio, i giovani della Generazione Z mostrano un atteggiamento peculiare. A spiegarlo è Matteo Lancini, psicoterapeuta e Presidente della Fondazione Minotauro di Milano. «In futuro la coppia non esisterà più, perché è un lavoro difficilissimo e le nuove generazioni ne sono terrorizzate. In particolare, il problema dei ragazzi oggi è la fine della relazione, momento delicatissimo vissuto come un dramma senza precedenti. Credo che si debba iniziare a educare alla fine del rapporto di coppia». Anche questo rientra nell’educazione affettiva? «Sì. Ma quella che non si esaurisce tra le aule di scuola. L’educazione affettiva e sessuale si deve fare ogni giorno, a casa, permettendo ai ragazzi di esprimersi. Spesso la famiglia ascolta ma non sente, soprattutto quando le emozioni dei figli sono disturbanti. A volte non facciamo le domande giuste, o non le facciamo affatto, e sbagliamo rimuovendo le difficoltà, i conflitti e i dolori che fanno parte dell’esistenza».

Dobbiamo disarmare il cacciatore

Il fronte dell’educazione dei più giovani non è il solo su cui operare per combattere la violenza di genere. Elena Biaggioni, avvocata e Vicepresidente dell’associazione D.i.Re, ce ne ha ricordato un altro. «Ogni volta che pensiamo alla donna come a una preda, stiamo guardando dalla parte sbagliata: la preda diventa tale solo nel momento in cui c’è un cacciatore. È la sua presenza a inibire l’attivazione delle donne in società, costringendole a investire parte delle proprie risorse nell’evitare di essere attaccate, molestate, stuprate. Non è la preda che deve difendersi, ma il cacciatore che dev’essere disarmato. Con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione». Perché, come è stato più volte ricordato durante l’incontro, ci sono tanti modi per fare rumore. E sono tutti quanti necessari.

Cinzia Spanò e il frammento della sua stand up tragedy

Il modo di fare rumore di Cinzia Spanò è tutto racchiuso in un verbo: esagerare. Quello che noi donne faremmo, secondo i maschi, ogni qualvolta sottolineiamo una discriminazione o una disuguaglianza. Il reading che ha portato alla Statale è un assaggio del suo spettacolo Esagerate!, che ha lasciato in bocca il sapore dolceamaro di quelle disparità talmente irragionevoli da diventare ridicole. Per quanto sia una grande attrice, le battute ironiche di Cinzia Spanò non hanno realmente divertito. Perché in fondo nascondevano, all’evidenza di tutte le presenti in Aula Magna, un grave gap di considerazione, trattamento e rischio. Dai crash test dell’auto al contacalorie del tapis roulant, dal settaggio dell’aria condizionata alle divise da lavoro, dagli strumenti agricoli ai sintomi dell’infarto: «Il mio spettacolo è finalizzato ad acquisire consapevolezza del mondo che abitiamo. Un mondo che abbiamo ereditato nel modo in cui è stato fatto e in cui ancora è oggi, cioè su misura degli uomini e non delle donne».

Uno stato di cose che Spanò sta cercando di cambiare, almeno nel suo ambiente di lavoro, vale a dire il teatro. Dove la quasi totalità delle narrazioni è fatta da uomini, «registi che sembrano quasi pagati per fare mansplaining». E allora si torna al titolo che ha avuto il nostro incontro dell’8 marzo alla Statale, si torna all’importanza delle parole e della necessità di ripensarle. Anzi, proprio riscriverle. «Noi per esempi abbiamo rivisto la favola di Cappuccetto Rosso. E ora inizia così: “C’era una volta un piccolo lupo, che se ne andava in giro per il bosco a infastidire le ragazze. La mamma lo aveva avvisato: guarda che nel bosco ci sono delle femministe. Stai attento, è pericoloso!”».

Con la collaborazione scientifica di Università degli Studi di Milano

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