Multe di 5mila euro a chi userà il femminile nei documenti ufficiaII: così prevedeva il disegno di legge presentato dalla Lega a firma del senatore Manfredi Potente, subito ritirato. I vertici del partito, riferisce una nota, precisano che si è trattato di un’iniziativa del tutto personale. Se fosse stato approvato, dunque, basta sindaca, questora, avvocata. Ministra o deputata. Ma la crociata allora avrebbe riguardato anche “avvocata nostra” del Salve Regina? Forse il senatore della Lega non sapeva che sulla legittimità della declinazione al femminile per le professioni, si è pronunciata di recente anche l’Accademia della Crusca, che l’ha pure incoraggiata, alla ricerca di quella parità su cui nel 2024 abbiamo perso ben otto posizioni, come denuncia il Global Index Report, che vede l’Italia ormai all’87esimo posto.

La giudice Paola Di Nicola: continuerò a firmare al femminile le sentenze

E così per esempio la neosindaca di Firenze Sara Funaro o la questora di Modena Donatella Dosi non avrebbero potuto più declinare al femminile le proprie cariche nei documenti ufficiali. Ma neanche le avvocate o le primarie ospedaliere. «Mi firmo “la giudice” nei provvedimenti giudiziari dal 2011 e “la consigliera” in Corte di Cassazione dal 2022 in pieno ossequio alla lingua italiana e alla mia appartenenza al genere femminile, a cui è stato vietato l’accesso in magistratura fino al 1963» ci dice la giudice Paola Di Nicola Travaglini, la prima donna a firmarsi al femminile in documenti ufficiali. Paola Di Nicola Travaglini ha dedicato al lavoro in magistratura il libro La giudice (che quest’anno ha visto la riedizione) in cui racconta tutti i pregiudizi e gli stereotipi legati al lavoro femminile in magistratura, compresa appunto la difficoltà di firmarsi in quanto donna. «La lingua si trasforma con i cambiamenti sociali e culturali. Non bastano le multe, queste o altre che verranno, per fermare il cambiamento».

L’uso del maschile nelle professioni è solo una convenzione

Il ddl della Lega era dunque l’ennesima provocazione per solleticare l’elettorato “rispettoso delle tradizioni”? Quell’elettorato così ostile ai cambiamenti, che considera le professioni al femminile la manifestazione di un Mondo al contrario, per dirla alla Vannacci. L’obiettivo del ddl era infatti di «preservare l’integrità della lingua italiana», come se la declinazione al femminile fosse una storpiatura. Spiega la giudice Paola Di Nicola: «L’utilizzo del genere maschile per professioni e ruoli istituzionali anche quando sono ricoperti da donne rappresenta una convenzione che riguarda esclusivamente cariche di prestigio o di potere. Per i termini riferiti a lavori gerarchicamente collocati su piani più bassi della scala sociale l’utilizzo di termini femminili rappresenta invece la regola. Dunque nella consuetudine linguistica abbiamo cameriere o cameriera, infermiere o infermiera, parrucchiere o parrucchiera, termini che sono diventati la norma. Ma c’è totale oscuramento per consigliera o consigliere, questora o questore, avvocata o avvocato, che pure hanno la stessa desinenza. Quindi la questione non è affatto cosa di poco conto, è una questione innanzitutto culturale o politica rispetto all’omissione del femminile in luoghi e ruoli di potere, luoghi e ruoli che hanno omesso l’intelligenza, la capacità e la professionalità delle donne».

L’uso del femminile non è un dettaglio

Anche il linguaggio è una struttura culturale che abbiamo interiorizzato tutti e tutte. «Non è un dettaglio, è la massima rappresentazione del potere» prosegue Paola Di Nicola. «Indica ciò che vale la pena nominare. Il problema non è solo una questione linguistica, quanto piuttosto che alla prevalenza del maschile sul femminile nel linguaggio corrisponde una prevalenza nel pensiero. Quindi continuare a usare il maschile sovraesteso, abitudine linguistica secolare in italiano, è di fatto un modo per portare avanti un modo di pensare in cui le donne sono sistematicamente subordinate agli uomini».

La declinazione al femminile è prevista dalla grammatica

La declinazione secondo la grammatica italiana prevede il maschile e il femminile e va usata. «Non declinare cariche e professioni al femminile significa cancellare la donna da quel ruolo. Non critico chi non usa il femminile, perché è qualcuno che si sente in una condizione di soggezione. Però è proprio una questione sostanziale, non di forma: la lingua è un luogo di rappresentazione del potere, ciò che si nomina esiste». Quindi dire “suona meglio” per certe professioni al maschile è un motivo vero – perché alle donne sono state sempre impedite e perché il femminile è sminuente – ma frettoloso. È un processo culturale lungo, difficile, ma bisogna iniziare a cambiare, proprio nei luoghi del potere. E in ogni caso, se fosse una battaglia così leziosa e poco importante, perché si sarebbe sentito il bisogno di un disegno di legge, con tanto di multe?