Più di un milione di donne (il 4,9 per cento) subisce violenza in coppia. Quasi sempre, ai maltrattamenti psicologici e fisici, si accompagna la violenza economica, una forma di controllo che passa attraverso la privazione dei soldi, oppure il divieto di lavorare o di avere un patrimonio personale.

Violenza economica come reato

Questa forma di violenza non è prevista nel nostro ordinamento ma, per la prima volta, una sentenza della Cassazione l’ha riconosciuta come forma specifica di reato, richiamando norme sovranazionali come la Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013.

Perché questo riconoscimento è così importante? «La sensibilità della magistratura si sta evolvendo» commenta l’avvocata Francesca Garisto, vicepresidente della Casa delle donne di Milano, il primo centro antiviolenza d’Italia, membro della rete D.iRe. «Non è la prima volta che la Corte riconosce questa forma di violenza ma qui la novità sta nel richiamo espresso alle norme sovranazionali e nel descriverla come condotta autonoma che integra, seppure assieme alle altre, il reato di maltrattamenti in famiglia.

La violenza economica spesso non riconosciuta dai giudici

Nella gerarchia delle fonti normative, infatti, le norme sovranazionali prevalgono su quelle nazionali ma non sempre ciò avviene in quanto questa forma di violenza non è ancora facilmente riconoscibile nemmeno da parte della magistratura. Questa sentenza invece richiama i principi e lo spirito sia della Convenzione di Istanbul sia della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio del 2012 su diritti minimi, assistenza e protezione delle vittime di reato, che per prima ha introdotto nel nostro ordinamento una definizione di violenza nelle relazioni strette che include la violenza economica. Un segnale importante perché della violenza economica si parla poco anche nelle sentenze, pur essendo spesso presente insieme alle altre forme di maltrattamento».

Violenza economica dentro al reato di maltrattamento

Una donna su tre tra quelle accolte nei Cav gestiti dalle associazioni aderenti a D.i.Re subisce violenza economica. Che se ne parli anche nelle sentenze è importante. Ma l’importanza di questa sentenza sta anche nel fatto che per la prima volta si include la violenza economica nel concetto ampio di maltrattamento, reato la cui definizione nel tempo è cambiata. « Ventanni fa, per esempio, la violenza sessuale nella relazione coniugale non era contemplata, cioè non veniva condannato l’uomo che pretendeva rapporti sessuali dalla moglie senza il suo consenso. La disponibilità all’atto sessuale era considerato un obbligo da parte della moglie anche in mancanza di consenso in quanto ritenuto un vero e proprio “dovere coniugale”» spiega l’avvocata Garisto. «Oggi non è più così e un uomo che impone rapporti sessuali e ritorsioni nei confronti della donna che vi si sottrae, viene condannato per maltrattamenti oltre che per violenza sessuale». Il cambiamento nella valutazione del reato di maltrattamento in famiglia oggi si estende e ricomprende anche la violenza economica fino a qualche anno fa non considerata un atto di sopraffazione quale in effetti è: «In assenza di violenza fisica, ma in presenza di quella psicologica ed economica, è sufficiente che si ritenga integrato il reato di maltrattamento».

Succede anche alle donne che lavorano

Il problema è che non sempre la violenza economica per le donne è facile da individuare anche perché in un primo tempo può essere scambiata come una forma di attenzione e premura anziché come una forma di controllo. «Spesso l’uomo guadagna di più, quindi appare un privilegio che la donna possa occuparsi della casa e dei figli. Ma poi, col tempo, le cose possono cambiare e lei scegliere di lavorare. È violenza economica se lui glielo impedisce, oppure pretendedi gestire e controllare arbitrariamente l’utilizzo delle risorse familiari, privando man mano la compagna della possibilità di ogni autonoma iniziativa di spesa se non addirittura dei mezzi per sostentarsi. E questo succede a donne di ogni ceto sociale e istruzione. Ma succede anche alle donne che lavorano: le rassicurazioni e le promesse d’amore e accudimento possono confondere e far pensare che occuparsi di tutto lui, possa essere un vantaggio. E invece con il tempo la donna si ritrova senza mezzi economici, comunque senza una propria autonomia finanziaria». Alla base del problema c’è la cultura del dominio patriarcale cui si aggiunge la mancanza di lavoro stabile e ben retribuito delle donne, al Sud come al Nord, che rischia, in molti casi, per esempio in seguito a una separazione, di ridurle in povertà.