«Voglio salutare l’istituto dei ciechi, so che mi stanno guardando» è una delle più esilaranti, attribuita a Barbara d’Urso. E fa il paio con «Quei tre mi ricordano Caino e Babele» di Lapo Elkann. Ma se quelle altrui sono divertenti da raccontare, quando a commettere una gaffe siamo noi, smettiamo di ridere. Perché a nessuno piace inciampare pubblicamente su errori, frasi fuori contesto, domande inopportune. Che però, secondo Giuseppe Manfridi, hanno una loro nobiltà. In Anatomia della gaffe (La Lepre) lo scrittore e autore teatrale dà al gaffeur la patente di persona onesta. «La gaffe è un atto di ribellione» afferma Manfridi. «Perché dietro l’uscita stonata rivela scintille di verità». Ecco allora come usare gli scivoloni a nostro favore.
Perché capita
«La nostra mente sceglie quali emozioni e informazioni tenere a “portata di mano” e quali rimuovere. Queste, però, non vengono distrutte ma archiviate» spiega Eliana Lamberti, psicoterapeuta e trainer in Programmazione neurolinguistica al Centro studi psicologia e teatro di Roma. «Nei momenti di stress, di forte tensione emotiva o quando siamo assorti nei nostri pensieri, però, il controllo viene meno. Ed eccoci scivolare in gaffe, i classici lapsus freudiani: chiamare una persona con il nome sbagliato. O aprire i lavori di un’assemblea con la frase: “Visto che ci siamo tutti, la seduta è chiusa” (perché ci aspettiamo solo grane e vorremmo averla già conclusa)». Insomma, la gaffe è possibile quando si riduce la vigilanza della nostra coscienza e gli impulsi inconsci prendono il sopravvento».
Cosa c’è dietro
Ma cosa si nasconde dietro un’uscita diretta come “Che bello: a che mese sei?” rivolta a un’amica che è solo ingrassata? «Semplicemente opinioni e giudizi al vetriolo su quella persona. O un’antipatia inconscia che, in genere, teniamo sotto chiave» spiega l’esperta. «Se si tratta di un caso, pazienza. Ma se questi episodi cominciano a ripetersi meglio non ignorarli. E chiedersi se, forse, non ci si sta censurando». Come nella pentola a pressione: se il vapore è troppo, si apre la valvola. Ma a uscire qui sono le parole.
Gli aspetti positivi
La prima reazione alla gaffe è l’imbarazzo. «Ma, se non abbiamo commesso un danno irreparabile, ci sentiremo anche alleggeriti per aver liberato una parte profonda di noi» spiega Lamberti. «Tanto che, dopo, siamo pronti a raccontarla agli amici e a riderci su. Un esercizio catartico che, oltretutto, ci aiuta a smussare i lati più rigidi del nostro carattere». Le gaffe, insomma, fanno bene. «Da una parte ci inducono a riflettere su qualcosa che stiamo cercando di rimuovere. Dall’altra ci aiutano a sorridere di noi stessi. E a non prenderci troppo sul serio» dice l’esperta. E come rimediare? «Chiedendo subito scusa e confessando la propria goffaggine. Questo dimostra intelligenza e rispetto verso gli altri. Poi si può sciogliere la tensione con una battuta in grado di strappare un sorriso alla vittima dell’errore».