Il nuovo Governo, ancora prima di insediarsi, inizia con il nodo delle pensioni. A fine anno, infatti, scade Quota 100 e si ipotizzano nuove soluzioni, prima tra tutte la cosiddetta Opzione uomo o Opzione tutti. Ma non è esclusa neppure la possibilità di Quota 41, anche se per i sindacati occorre tutelare maggiormente i giovani e le donne.

Nelle ultime ore, poi, è emersa anche la possibilità di un bonus pensioni. Sarebbe riservato agli over 63 e servirebbe a rimanere al lavoro, sgravando però le aziende dal peso contributivo.
Facciamo il punto sulla pensione, cercando di capire di cosa si tratta, anche con l’aiuto dell’avvocato Celeste Collovati, dello studio Dirittissimo, esperta di previdenza.

Bonus pensione: cos’è

L’ipotesi a cui stanno lavorando i tecnici del ministero dell’Economia riguarda chi ha più di 63 anni e dunque sarebbe prossimo all’uscita dal mondo del lavoro ma, senza un intervento del Governo, dopo il 31 dicembre sarebbe interessato dal ritorno alla legge Fornero, quindi dovrebbe continuare a lavorare fino a 67 anni. L’idea è quella di incentivare la permanenza, per evitare un’uscita anticipata con Quota 100 (che lo scorso anno è diventata Quota 102) ma a fronte di uno sgravio fiscale per le aziende datrici di lavoro. Il piano prevederebbe l’uscita dal lavoro a 64 anni con 38 di contributi, ma il vicepremier Matteo Salvini sarebbe dell’idea anche di offrire più flessibilità, in particolare con l’uscita a 61 anni e 41 di contributi, utilizzando risorse recuperate dal Reddito di cittadinanza.

In questo modo si potrebbe garantire un sostegno per chi desidera o preferisce continuare a lavorare. Per finanziare questa misura e le altre sul tavolo, che invece permettano maggiore flessibilità in uscita, si pensa di stanziare 5 miliardi. Servirebbero per quelle ipotesi al vaglio in vista dello scadere di Quota 102, ma anche per finanziare Ape sociale e Opzione Donna che potrebbe essere estesa a tutti, diventando Opzione Tutti o Opzione Uomo.

Pensione: cos’è Opzione uomo o Opzione tutti

Uno dei piani del nuovo esecutivo per affrontare la riforma delle pensioni prevede proprio l’Opzione uomo, ossia l’estensione dell’attuale Opzione donna a tutti (anche per questo viene chiamata anche Opzione tutti). In pratica si tratterebbe di permettere un’uscita anticipata dal mondo del lavoro, a fronte di una riduzione dell’assegno pensionistico del 30%.
Si ipotizza che la pensione possa diventare così un traguardo raggiungibile pure a 58-59 anni, anche se si dovrebbe rinunciare a quasi un terzo dell’assegno.

Con Opzione Uomo si perde il 30% della pensione

L’idea è di anticipare il pensionamento: «Non solo per le donne come già avvenuto, ma anche per gli uomini, all’età di 60, 62 anni o addirittura 58 anni, ma ancora non ci sono indicazioni esatte sull’età richiesta per l’uscita dal lavoro. Questa possibilità, però ha il grande limite di decurtare l’assegno pensionistico del 30%» spiega Celeste Collovati, dello studio legale Dirittissimo. «Ritengo che sia una scelta “poco appetibile” di questi tempi, in considerazione del momento storico e del fatto che in termini di assegno pensionistico, si perderebbe molto rispetto a quella che potrebbe essere la pensione con regime ordinario. Ovvero, circa il 30% della pensione che si sarebbe maturata uscendo dal mondo del lavoro oltre 7 anni dopo, perché i contributi versati sarebbero meno e andrebbero suddivisi in più anni. «Il rischio – osserva ancora l’esperta – è quello di trovarsi un primo cedolino di pensione d’importo addirittura pari alla metà dell’ultimo stipendio! Una scelta che personalmente non farei: perché rinunciare ad una parte di pensione ad un’età (58-60) in cui ancora sono nelle piene capacità lavorative?» si interroga l’avvocata.

Quota 41: cos’è, pro e contro

Un’altra possibile strada allo studio della maggioranza per superare la legge Fornero sarebbe anche Quota 41 con l’introduzione di una soglia d’età. Il nodo resta capire quale potrebbe essere la soglia in questione, dal momento che, in base a calcoli preventivi, occorrerebbero circa 5 miliardi per attuare la riforma. Ma cosa cambierebbe per i lavoratori?
«L’idea di introdurre Quota 41 è nata dalla volontà di rendere più flessibile rispetto al passato l’accesso alla pensione, senza vincoli d’età anagrafica, mentre con le regole attuali si può accedere al pensionamento anticipato con 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini e 41 anni e 10 mesi per le donne» premette l’avvocato Collovati.
«Sicuramente è un ottimo proposito che condivido, quello di maggior flessibilità e attenzione alla tutela previdenziale per i giovani. Ma il problema è questo: se da un lato tale sistema nuovo garantirebbe più flessibilità e permetterebbe di andare in pensione con 41 anni di contribuiti, senza badare all’età anagrafica, dall’altro costerebbe all’anno al nostro Stato circa 4/5 miliardi, se non addirittura 9 sul lungo periodo, cioè nel decimo anno di entrata in vigore. Proprio per questo, a mio avviso la spesa risulterebbe non sostenibile. A ciò si aggiunga che anticipare il momento della pensione per i più anziani non garantisce la sostituzione sul mercato del lavoro da parte dei giovani, come infatti è già successo con quota 100», osserva l’esperta di previdenza e diritto.
«In ogni caso, in questi giorni si parla anche di quota 41 ma aggiungendo un limite di età, ciò per ridurre la spesa per le casse previdenziali. Staremo a vedere, certo è che qualora non si trovasse un accordo su tali temi, il rischio è quello di tornare al sistema Legge Fornero» conclude Collovati.

Favorevoli e contrari all’Opzione uomo e Quota 41

Il Governo Meloni sta comunque analizzando i conti e le prospettive. Intanto è già arrivato un parere positivo da parte del presidente dell’Inps, Pasquale Tridico. «Credo che tutte queste riforme siano orientate a un principio giusto, ovvero quello di garantire una certa flessibilità in uscita rimanendo ancorati tuttavia al modello contributivo. Su questo eravamo orientati anche durante il governo Draghi – osserva il numero uno dell’Ente – Quindi se si va in questa direzione poi la politica deciderà, ma mi sembra che si sia abbastanza in linea rispetto a quanto si stava facendo»: questo il suo commento a proposito della riforma delle pensioni e dell’ipotesi quota 58-59 anni con 35 di anzianità per gli uomini con un assegno più basso.
Contrari, invece, i sindacati e in particolare la Cgil: «Mandare in pensione le persone riducendogli l’assegno non mi pare sia una grande strada percorribile», ha affermato Maurizio Landini, segretario generale della Cgil, a margine dell’assemblea nazionale dei delegati della Fillea-Cgil a Milano. «Credo – ha aggiunto – che il tema sia quello di affrontare la complessità del sistema pensionistico». «Credo poi – sottolinea – che ci sia un altro tema di fondo per dare un futuro pensionistico a tutti i lavoratori: bisogna combattere la precarietà».