Dopo il licenziamento, 7 tirocini
Il 2018 per Annamaria Petricone si apre con una festa importante: «A gennaio compirò 50 anni, per molte donne è crocevia di tanti cambiamenti, di figli che diventano adulti, di genitori anziani da curare. Io vorrei solo avere un vero lavoro». La sua attuale occupazione si chiama in modo un po’ surreale “tirocinio di perfezionamento”. Ne ha già fatti 7 nella cancelleria di un tribunale laziale: 400 euro al mese, senza ferie, né malattia, né contributi. «Ho iniziato 6 anni e mezzo fa con un bando della Regione per lavoratori in mobilità: il compenso era poco, però per cominciare andava bene. E allora avevo ancora gli ammortizzatori sociali».
La storia di Annamaria, originaria dell’Aquila ma residente a Roma, incrocia quella dell’Italia e delle sue occasioni mancate: per 8 anni è stata una dipendente di Alitalia, si occupava di amministrazione del personale. Ma in uno dei tanti “salvataggi” è stata licenziata: «Una botta tremenda. Il mio lavoro mi piaceva ed era anche quello che mi aveva consentito di sposarmi, di avere una bambina».
La laurea in Economia non è bastata
«Per me non c’è nessuna dignità, né prospettiva». Alle spalle di Annamaria c’è una famiglia modesta che ha creduto all’equazione sforzi-risultati, una delle tante: «I miei genitori hanno fatto molti sacrifici per permettere a me e mia sorella di studiare. Dopo la laurea in Economia ho fatto la mia gavetta. Poi sono stata assunta in Alitalia, per me era un approdo naturale, la ricompensa alle rinunce dei miei genitori». In un Paese dove l’ascensore sociale funziona poco, Annamaria sembrava un’eccezione. Ma questo succedeva ormai 8 anni fa, prima del licenziamento. «Ho pensato che avrei trovato un altro lavoro, che l’Italia intanto si sarebbe ripresa. C’è stato il tirocinio di formazione, poi di completamento, poi di perfezionamento e io sono ancora qui. Nella mia posizione ci sono centinaia di persone, svolgiamo le stesse mansioni dei colleghi assunti, di fatto sopperiamo alla cronica mancanza di personale dei tribunali ma non abbiamo nessuna dignità e prospettiva. Nel frattempo sto per compiere 50 anni».
50 anni, un’età difficile per ricollocarsi
Cinquant’anni sono un’età difficile per ricollocarsi, anche se nell’ultimo anno si è parlato di un boom di assunzioni per i 50enni. «Il Jobs Act ha spostato per un periodo a carico dello Stato il pagamento dei contributi fiscali per le assunzioni a tempo indeterminato» spiega Francesco Daveri, economista e docente alla SDA Bocconi School of Management. «Ciò ha favorito i 50enni al posto dei giovani perché, a parità di stipendi, molte aziende hanno privilegiato i lavoratori con esperienza. A questo si è aggiunta la riforma Fornero che ha alzato l’età pensionabile. Ma a lungo andare sul mercato del lavoro i più penalizzati saranno sicuramente gli over 50: costano di più, sono meno mobili dei giovani e, in una società globalizzata, magari un posto di lavoro non c’è più a Milano ma si apre a Singapore. E poi c’è anche il digital divide, cioè il gap delle competenze digitali, che sicuramente non li aiuta».
«Alcuni colleghi della mia età vengono mantenuti dai genitori». La storia del precariato di Annamaria sembra confermare questa previsione. «Abbiamo fatto tante rinunce: poche vacanze, nessun lusso, giusto l’indispensabile per la nostra bambina» racconta. «Abbiamo una casa di proprietà, mio marito non guadagna tanto ma ha un lavoro stabile, rispetto ad altri colleghi che alla mia età vengono mantenuti dai genitori o che si arrangiano integrando i 400 euro con lavoretti in nero, persino facendo le pulizie, siamo fortunati. Però la perdita della mia indipendenza economica mi è pesata moltissimo perché ho lottato tanto per conquistarla e avrei voluto un po’ più di leggerezza: un viaggio lontano, un ristorante, senza stare a contare i soldi ogni volta. Mi sono sempre data da fare, in questi anni ho inviato centinaia di curriculum e non mi ha chiamato mai nessuno». Come è possibile?
«Esistono 3 tipologie di lavoratori 50enni» risponde Francesco Giubileo, sociologo esperto in politiche occupazionali. «Quelli con un altissimo livello di competenze, abituati a cambiare lavoro, e che si muovono in un settore non saturo, per esempio gli ingegneri molto qualificati. Se perdono il posto lo ritrovano subito, l’età non conta. Poi ci sono lavoratori non laureati, ma con diplomi professionali estremamente richiesti nel mercato del lavoro, come potrebbe essere un manutentore di caldaia. Le aziende fanno a gara per tenerseli. E infine ci sono i laureati che hanno competenze che non servono più. È una terra di mezzo in cui rientra la signora Annamaria: gli amministrativi sono meno ricercati dei badanti, di figure non qualificate ma di cui c’è un fortissimo bisogno. Considerato che nel pubblico le assunzioni sono bloccate da più di 10 anni, le chance della signora di trovare lavoro diminuiscono ancora di più. La verità è che milioni di italiani non lo sanno ma, se venissero licenziati, sarebbero nella stessa situazione».
«Insegno a mia figlia a essere onesta. E un po’ cattiva». Demordere non è nel carattere di questa “aspirante precaria”, come ama definirsi lei. «Ne ho passate tante. Siamo dell’Aquila, i miei genitori e la famiglia di mia sorella sono scampati per miracolo al terremoto. Hanno vissuto per anni nelle tende, poi nei Map (Moduli abitativi provvisori, ndr), abbiamo perso 2 case per sempre. Le difficoltà non mi spaventano». Nella foto del suo profilo di WhatsApp Annamaria sorride abbracciata alla figlia di 12 anni, dietro di loro si intravede una scritta: “Le brave ragazze vanno in paradiso, le cattive dappertutto”. «Voglio insegnare a mia figlia a essere onesta e rispettosa, ma mi sto accorgendo che non basta. Nella vita, forse, ci vuole un pizzico di cattiveria in più».