«Quasi non ci credevo quando ho visto quei soldi sul mio conto corrente: finalmente potevo fare delle scelte, decidere il mio futuro così come lo avrei voluto io, essere autonomo e non dover chiedere altri soldi a mamma e papà». Sì, per Marco Cucuzza, ingegnere e architetto 29enne milanese, il giorno in cui, a metà del suo percorso di studi al Politecnico di Milano ha ottenuto un prestito d’onore, è stato importante. «Con quei 15.000 euro ho partecipato ai viaggi studio proposti dalla mia facoltà che altrimenti non mi sarei potuto permettere, perché le tasse e i libri erano già un grosso peso per la mia famiglia. E così ho dato un’accelerata alla mia carriera futura».
Il prestito d’onore può essere chiesto da tutti
Perché allora, stando ai dati Eurydice, meno dell’1% degli studenti italiani conosce questo strumento e le sue potenzialità? «Rispetto alle borse di studio, che vengono assegnate sotto un certo reddito, il prestito d’onore può essere chiesto da tutti, a patto di stare al passo con gli esami e di restituirlo dopo un certo periodo» spiega Francesco Armillei di Tortuga, think tank di studenti, professionisti e ricercatori in economia e scienze sociali. «La logica delle borse è ridurre il costo dello studio, per esempio esonerandoti dalle tasse o sostenendoti nella ricerca di un alloggio. Quella del prestito invece è l’investimento: hai più soldi oggi per ottenere dei benefici domani».
Proprio come per tutti i prestiti. Ma questo, essendo dedicato agli studenti, è molto più vantaggioso. Marco ha usato il suo per garantirsi una formazione migliore. «Con quei soldi ho pagato esperienze didattiche di cui adesso raccolgo i frutti: già solo vedere di persona le architetture iconiche che studiavo sui libri, da Renzo Piano a Le Corbusier, è una incredibile esperienza formativa. Lavorare poi con progettisti di tutto il mondo lo è ancora di più: a Tokyo, per esempio, ho seguito i corsi del Kengo Kuma Lab e imparato a utilizzare strumenti digitali di progettazione che adesso mi sono utilissimi». Con queste esperienze nel curriculum, Marco già qualche settimana dopo la laurea è stato chiamato in uno studio di architettura milanese e adesso lavora con un dottorato al Politecnico.
A cosa serve prendere un prestito
«Per avere una marcia in più nel cv e ambire a lavori di un certo livello, oggi non basta laurearsi, bisogna viaggiare, specializzarsi, seguire master e corsi professionalizzanti, prestigiosi e spesso costosi» ricorda Armillei. Come gli Mba dell’università Bocconi di Milano, i programmi executive della Luiss di Roma, i corsi dell’accademia di belle arti NABA, dell’istituto di studi superiori Carlo Bo, dell’università Humanitas o di Scienze gastronomiche a Pollenzo. Tutti percorsi di eccellenza a cui si può accedere anche con un prestito d’onore.
Ma quell’assegno può servire anche a scegliere una università migliore rispetto a quella vicino a casa. Concedono prestiti d’onore atenei eccellenti come Ca’ Foscari a Venezia, la Cattolica a Milano e il Politecnico di Torino che sono ai primi posti per occupazione post laurea. «Con i redditi contratti a causa della crisi economica, molte famiglie non possono permettere ai figli vitto e alloggio fuorisede» continua l’esperto. «Né possono accedere alle borse di studio perché i criteri economici per ottenerle sono basati sugli anni precedenti, quando magari le entrate economiche erano ben più alte».
La restituzione del prestito
Detto questo, un prestito d’onore va restituito e il conto corrente di un professionista al primo impiego può soffrirne. «Ottenerlo è stato facile, in pochi mesi avevo già la prima tranche sul conto. Ora però sono un po’ in difficoltà. Ho rateizzato in 8 anni con un interesse dell’1%. Sono circa 200 euro al mese e su uno stipendio poco superiore ai 1.000, tipico dei neolaureati italiani, non resta molto per vivere a Milano. Rispetto ad altri coetanei, non posso permettermi ancora di andare a vivere da solo e devo arrotondare con altri lavori».
La difficoltà a “rientrare” è uno dei tanti motivi che spiegano perché in Italia il prestito d’onore non sia così diffuso. «Un mio amico ha fatto la stessa cosa in Danimarca e non deve restituire nulla, ha solo l’obbligo di restare lì a lavorare per almeno 2 anni e pagare i contributi». In Inghilterra, invece, paghi in proporzione minima rispetto al tuo reddito e se guadagni poco non devi nulla. «Se aggiungiamo il fatto che gli stipendi di ingresso nel mondo del lavoro in Italia sono bassi e noi italiani siamo diffidenti nei confronti delle banche che fanno da intermediari» spiega Armillei «ecco spiegato perché quasi nessuno chiede il prestito d’onore». Che pure resta l’unica alternativa per chi vuole formarsi come si deve ma non ha troppi mezzi. «Io lo rifarei» ammette Marco. «Perché se guardo in prospettiva, questo periodo di difficoltà economica passerà mentre la marcia in più che ho ottenuto grazie a quei soldi resterà per sempre».
Come funziona il prestito d’onore e chi lo concede
Il prestito d’onore è regolato dalla legge 390 del 1991. I criteri di ammissione sono decisi dalle banche con le quali le università stipulano accordi. La legge però pone alcuni paletti che devono essere rispettati:
1. La rata del rimborso non può superare il 20% del reddito.
2. Il tasso deve essere legato all’Eurirs (è il tasso per calcolare interessi fissi come quelli dei mutui e in genere si aggira intorno all’1% contro il 7 degli altri prestiti).
3. Non serve garanzia come la busta paga del genitore perché c’è un fondo pubblico apposito.
Tra i programmi più usati ci sono: Unicredit ad Honorem (si possono chiedere fino a 27.000 euro da restituire entro 15 anni); Per Merito di Intesa Sanpaolo (fino a 50 mila euro, 30 anni per la restituzione).
Esistono anche iniziative pubbliche come il fondo Studiosì del Miur, solo per gli studenti di Sud e Isole (vengono erogati fino a 50.000 euro a tasso 0, studiosiponricerca-mur.it).