I primi sei mesi di sintomi dell’artrite reumatoide sono molto importanti. Gli esperti la chiamano “Finestra di opportunità terapeutica”. Perché iniziare le cure in questi 180 giorni può decisamente cambiare la vita di chi ne soffre.
«Intervenire subito può letteralmente modificare la storia della malattia», dice Oscar Massimiliano Epis, direttore di reumatologia, ospedale Niguarda di Milano. «Si tratta di “domare” i sintomi, che sono l’espressione visibile dello stato infiammatorio scatenato dall’artrite reumatoide. In più, tenendo sotto controllo l’infiammazione, si prevengono i rischi di infarto e di ictus, le grandi “spade di Damocle” per chi soffre di questa malattia reumatica autoimmune». Certo non è facile individuare i sintomi, come spieghiamo qui.
Come si cura la prima fase della malattia
Non stupitevi se uscite dalla visita reumatologica con una prescrizione di farmaci “strani” che c’entrano poco all’apparenza con la vostra malattia. Oppure, un po’ “vecchiotti”. «Quando ad esempio l’artrite reumatoide è in una fase iniziale e si presenta con sintomi lievi, oggi la cura consiste nell’associazione di un farmaco antimalarico con un basso dosaggio di cortisone», spiega il dottor Epis. «Insieme, hanno la capacità di tenere sotto controllo lo stato infiammatorio e quindi il dolore e la rigidità articolare, sintomi tipici di questa malattia. Altrimenti se la patologia è più aggressiva o comunque più avanzata, la cura migliore è con la categoria di principi attivi chiamati con la sigla “dmards”. Il farmaco più utilizzato è una vecchia conoscenza, ma sempre al top per efficacia e si chiama metotrexate».
Come si cura la malattia in stato avanzato
Ai costosissimi farmaci biologici si ricorre invece quando l’artrite reumatoide non “risponde” più alle cure tradizionali. «Oggi abbiamo a disposizione principi attivi diversi, che mirano ciascuno a un preciso bersaglio», continua l’esperto. «Si è visto infatti che alla base della malattia ci sono differenti “interruttori” che provocano l’esagerata reazione del sistema immunitario e quindi le crisi». Al momento però non esiste un test che permetta di sapere prima qual è il farmaco biologico più ad hoc. Un motivo in più per rivolgersi a un Centro reumatologico. «In questo campo vale ancora molto la clinica», interviene il dottor Epis. «Negli anni, ognuno di noi ha maturato un’esperienza tale da riuscire a cogliere durante il colloquio e la visita quei piccoli segnali che ci indirizzano nella scelta del biologico più indicato».
Importante seguire la terapia
I farmaci dunque ci sono, i centri specializzati pure. Tutto bene allora? No. Perché è il paziente stesso a ostacolare una sua buona qualità di vita. «Uno studio condotto da Anmar, l’associazione pazienti reumatici, ha dimostrato che nel caso dei farmaci biologici sei pazienti su dieci non seguono la terapia», conclude il dottor Epis. «I dati sono ancora peggiori per gli altri farmaci, con la metà dei pazienti non aderenti, cioè che non si attengono alle indicazioni mediche».