Diagnosi precoce, questa sconosciuta: succede con l’endometriosi, una malattia ginecologica che accomuna tre milioni di donne, con sintomi che iniziano a dare segno di sé spesso già durante l’adolescenza. Sintomi spesso difficili da capire. Per questo è importante parlarne.
Dal 2017 anche l’endometriosi rientra nei Lea, cioè i Livelli essenziali di assistenza, come malattia cronica e invalidante. Però le esenzioni sono poche: solo alcune, legate agli stadi più gravi della malattia, il terzo e il quarto, ovvero una visita ginecologica semestrale e alcune ecografie. E, soprattutto, restano a carico delle pazienti le terapie più efficaci per ridurre il dolore. Lo denuncia Nino Cartabellotta, presidente della Fondazione Gimbe, che ha appena pubblicato la sintesi italiana delle linee guida del britannico National Institute for Health and Care Excellence (un’organizzazione punto di riferimento internazionale per l’elaborazione di linee guida a livello metodologico). «La pillola anticoncezionale (che ha un’efficacia provata nel controllo del dolore) e gli analgesici dovrebbero essere gratuiti. Molti ginecologi lo stanno chiedendo con forza. Senza contare che ai Lea mancano i decreti attuativi, quindi molte regioni non li hanno ancora recepiti, a distanza di quasi un anno. E i nomenclatori tariffari non sono aggiornati: significa che in molte regioni, non conoscendo la tariffa minima per le prestazioni, le prestazioni stesse non possono essere passate dal Servizio Sanitario Nazionale».
Perciò il cammino verso un riconoscimento vero della malattia resta ancora lungo. Come affermano le associazioni pazienti, questo è solo un primo passo. L’obiettivo è quello di estendere l’esenzione anche alle forme di primo e secondo grado, ottenere l’invalidità per le forme gravi e l’esenzione dal pagamento dei ticket anche per altri esami necessari e i farmaci. «Il problema è che sull’endometriosi regna ancora un tabù culturale. Ancora oggi raccontare di dolori durante i rapporti e nel corso delle mestruazioni per parecchie donne è tabù» prosegue Cartabellotta. «Quindi possono passare anche 10 anni prima di avere una diagnosi, con peggioramento della qualità di vita, progressione della malattia e peregrinazioni tra consulti specialistici e indagini diagnostiche non sempre appropriate. Inoltre i Centri specializzati, con esperti che si occupano quasi esclusivamente di endometriosi, sono poco conosciuti. E questo, purtroppo, riguarda anche i medici di famiglia e alcuni ginecologi. Ecco perché la prima grande sfida è diagnosticare una malattia spesso non ‘sospettata’, identificando precocemente segni e sintomi sin dai primi consulti, in particolare nelle adolescenti».
A che età iniziano i sintomi
«I segnali dell’endometriosi possono iniziare fin dalle prime mestruazioni», spiega Massimo Candiani, primario di Ginecologia e Ostetricia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano. «Proprio per questo cerchiamo di divulgare le informazioni sulla malattia soprattutto tra le adolescenti». Le cause dell’endometriosi non sono ancora del tutto chiariti. Si sa che alcune cellule della mucosa della cavità uterina possiedono la capacità di impiantarsi in zone anomale, come le ovaie e le tube o gli organi vicini. E sotto lo stimolo degli ormoni femminili, durante la mestruazione causano una piccola emorragia interna con un’infiammazione nella zona e dolori talora molto invalidanti.
A chi rivolgersi
In caso di dolori molto intensi, dunque, non bisogna perdere tempo. E per chi non sa a chi rivolgersi ci sono le associazioni a dare una mano, come Aendo e Ape Onlus, in grado di segnalare i centri pubblici specializzati e i gruppi più vicini per trovare sostegno. «Il primo “metro di misura” che fa capire di essere in un Centro dedicato all’endometriosi è dato dal colloquio iniziale», spiega Massimo Candiani, direttore del servizio di ginecologia dell’ospedale San Raffaele di Milano. «Il medico deve saper ascoltare attentamente la paziente nella descrizione dei sintomi, perché questo permette di orientarsi verso una diagnosi corretta».
Altrettanto fondamentali sono le domande sulla famiglia. Non scordiamoci infatti che il rischio di soffrire di endometriosi è dieci volte maggiore se la mamma oppure la sorella hanno la stessa malattia. «La conferma della diagnosi si ottiene con l’ecografia», aggiunge l’esperto. «E anche in questo caso, è sempre meglio sottoporsi all’esame in un Centro dedicato. Chi conosce la malattia, infatti, sa che bisogna esplorare con attenzione l’apparato ginecologico al fine di individuare tracce anche minime dell’endometriosi».
Le cure per tenere sotto controllo l’endometriosi
Si parla comunemente di cure, ma va rimarcato un concetto: non risolvono la malattia, ma la tengono sotto controllo mettendo temporaneamente in stand-by l’apparato riproduttivo. Per questo i principi attivi più utilizzati sono l’associazione di estrogeni e progestinico, cioè la pillola contraccettiva per intenderci, e il progestinico da solo. «Prima parlavo dell’importanza del colloquio nella diagnosi», sottolinea il professor Candiani. «Altrettanto vale per impostare la cura e per le eventuali modifiche “in corsa” ». Così, ad esempio la pillola estroprogestinica è più efficace per la prevenzione delle cisti ovariche perché blocca l’ovulazione. Ma va scelta con attenzione ed eventualmente sostituita con un’altra formulazione per ridurre al minimo gli effetti collaterali tipici della pillola, vale a dire spotting e ritenzione idrica. «
Se non si riesce a trovare l’estroprogestinico giusto, oppure ci sono controindicazioni, si può prescrivere il progestinico», continua il professor Candiani. «E’ efficace, anche se non ha lo stesso effetto di inibizione sull’ovulazione. Di conseguenza, ha un’azione minore nella prevenzione delle cisti ovariche». Di solito, che sia una oppure l’altra, entrambe queste soluzioni aiutano anche a controllare il dolore. «Quello del dolore è un grande problema», dice l’esperto. «Cerchiamo di limitare il più possibile l’uso di antinfiammatori non steroidei perché gli effetti collaterali possono essere importanti. Siamo favorevoli all’impiego dell’agopuntura, efficace in particolare in caso di dolore pelvico cronico».
L’intervento chirurgico: quando occorre
A volte è necessario l’intervento chirurgico per asportare le zone colpite. «E’ necessaria un’attenzione particolare alla conservazione della funzionalità riproduttiva», racconta il professor Candiani. «Nel nostro centro ora stiamo utilizzando il laser per interventi in laparoscopia, meno traumatici, che non danneggino i tessuti sani circostanti. Questo soprattutto nel caso delle cisti ovariche perché le asportiamo preservando il più possibile la funzionalità ovarica e quindi la fertilità».